5 Agosto 2025

Vino pregiato oggi: tra produzione limitata, sostenibilità e identità strutturata

Nel panorama vitivinicolo globale del 2025, parlare di “vino pregiato” significa affrontare un concetto in evoluzione continua. Non esiste più una definizione univoca, né tanto meno immobile nel tempo: ciò che un tempo veniva considerato vino pregiato per via della sua origine aristocratica, del prezzo o del punteggio assegnato da critici influenti, oggi è sottoposto a una molteplicità di criteri che intrecciano qualità intrinseca, valori etici, riconoscimento di mercato e identità territoriale.

Alla luce di questi cambiamenti, possiamo proporre una definizione aggiornata. Un vino pregiato contemporaneo è un vino a produzione limitata, che esprime in modo trasparente e coerente il proprio territorio e la specificità dell’annata; è coltivato e vinificato nel rispetto dell’ambiente e delle persone, con pratiche sostenibili e responsabili; possiede una struttura e complessità tali da evolvere positivamente in bottiglia per almeno un decennio; e infine, è riconosciuto dal mercato attraverso una domanda costante, un attivo scambio sul mercato secondario e un premio di prezzo rispetto alla media della sua categoria o regione.

L’importanza del terroir e della trasparenza produttiva

Oggi più che mai, un vino che aspira ad essere definito “pregiato” deve esprimere la propria origine geografica in modo riconoscibile e credibile. L’identità del luogo – il cosiddetto terroir – è tornata al centro del discorso qualitativo, non più come retorica francofila, ma come attributo distintivo, frutto di pratiche agricole rispettose e non interventiste. I grandi vini contemporanei non sono più costruiti in cantina, ma accompagnati: raccontano la mineralità di suoli specifici, le escursioni termiche di microclimi unici, e le decisioni etiche di chi li produce.

Non a caso, molte aziende impegnate nella fascia alta del mercato hanno abbandonato ogni forma di anonimato produttivo. L’enologo superstar lascia spazio al dialogo tra agricoltore e paesaggio. Le fermentazioni spontanee, l’uso parco del legno, la riduzione degli input chimici e l’adozione di pratiche rigenerative non sono solo scelte tecniche, ma atti culturali, che danno senso al concetto di fine wine nel XXI secolo.

Sostenibilità come valore imprescindibile

Nel contesto odierno, un vino non può più definirsi “pregiato” se ignora il proprio impatto ambientale e sociale. La crescente attenzione dei consumatori – specie quelli più giovani e informati – ha reso la sostenibilità un criterio centrale nella percezione del valore.

Le certificazioni biologiche o biodinamiche non sono più un’eccezione tra i top producer, ma una normalità condivisa. Ma si va oltre: molti produttori adottano criteri di trasparenza radicale su trattamenti, emissioni, risorse idriche, retribuzioni e inclusività. Il vino pregiato, in questa visione, non è solo buono da bere, ma anche “giusto” da produrre.

In questo senso, la cosiddetta “naturalità” – che pur resta un termine controverso – ha contribuito a spostare l’attenzione su vini vivi, non standardizzati, capaci di parlare al di là del protocollo enologico. Anche se non tutti i vini naturali sono fine wines, molti fine wines del 2025 si avvicinano a quell’estetica.

L’età e la struttura: l’evoluzione come garanzia di finezza

Un tratto che continua a caratterizzare il vino pregiato è la capacità di evolvere nel tempo. Longevità non significa semplicemente resistere, ma trasformarsi in modo armonico, rivelando nuove dimensioni aromatiche, tattili, espressive.

È questa potenzialità evolutiva – fondata su un equilibrio tra acidità, struttura, concentrazione e precisione – che distingue un vino pregiato da uno solo “buono”. Senza questa tensione verso il futuro, la complessità rimane statica e il valore di mercato effimero. Per questo motivo, i professionisti e i collezionisti continuano a considerare l’invecchiamento una condizione necessaria, anche nell’epoca dei consumi rapidi.

Il ruolo del mercato e della domanda consapevole

Un altro aspetto imprescindibile della finezza oggi è il riconoscimento collettivo: un vino pregiato è tale anche perché esiste una comunità competente che lo valuta, lo cerca, lo commercia. Non basta che un produttore proclami il proprio vino “grande”; deve essere il mercato – fatto di collezionisti, sommelier, buyer, critici e appassionati – a dimostrarne la liquidità e la desiderabilità nel tempo.

È in questo senso che piattaforme come Liv-ex o le aste internazionali svolgono una funzione non solo economica, ma culturale: tracciano quali vini entrano nel canone del fine wine globale. L’inclusione di nuovi attori – dall’Umbria alla Spagna atlantica, dalla Cina alla Valle d’Elqui – segnala che la finezza non è più questione di confini geografici, ma di reputazione costruita attraverso coerenza, trasparenza e riconoscimento del valore.

Come si è evoluto il concetto di vino pregiato

Storicamente, la nozione di vino pregiato è stata legata a criteri statici e gerarchici. Nell’antichità, i vini migliori erano quelli consumati dalle élite: il Falerno citato da Plinio il Vecchio era simbolo di potere più che di qualità oggettiva.

Nel XIX secolo, classificazioni come quella di Bordeaux del 1855 hanno sancito l’idea che il prezzo e la provenienza fossero indicatori assoluti di grandezza. Per tutto il Novecento, la nozione di vino pregiato è rimasta legata all’Europa occidentale, e solo negli anni Settanta – con eventi come il “Judgment of Paris” – si è cominciato a riconoscere che la finezza non era una prerogativa francese, ma una possibilità aperta anche al Nuovo Mondo.

L’avvento della critica numerica, soprattutto con l’influenza di Robert Parker, ha poi ridefinito il gusto dominante, privilegiando stili maturi, estratti e boisés. Tuttavia, dalla fine degli anni 2000, questa visione monodimensionale ha perso peso: il punteggio ha ceduto il passo alla narrazione, al rispetto per il territorio, all’impatto ambientale, alla capacità del vino di creare senso, oltre che piacere.

Oggi, il vino pregiato non è più definito da chi lo valuta dall’alto, ma da una pluralità di sguardi e pratiche. È una costruzione collettiva, che coinvolge chi produce, chi distribuisce, chi beve, chi scrive e chi investe.

Il vino pregiato oggi

Nel 2025, dire che un vino è “pregiato” non significa soltanto affermarne l’eccellenza tecnica o il prestigio commerciale. Significa riconoscere un insieme complesso di valori: qualità organolettica, identità territoriale, integrità produttiva, sostenibilità ambientale e riconoscibilità sociale ed economica.

Il vino pregiato è frutto di un processo lungo, spesso invisibile: parte dalla terra, attraversa le mani di chi lavora, si plasma in cantina, evolve in bottiglia, e infine vive nel dialogo con chi lo sceglie, lo valuta, lo scambia, lo custodisce.

In un’epoca di standardizzazione e saturazione comunicativa, il vino pregiato rappresenta una promessa di autenticità e permanenza. Non è semplicemente buono: è significativo. E questo, oggi, è il suo vero valore.

L’articolo Vino pregiato oggi: tra produzione limitata, sostenibilità e identità strutturata è tratto da Forbes Italia.

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