La transizione ecologica è costantemente sotto i riflettori dei produttori e dei governi per via degli oneri che comporta, anche se tutti noi siamo ormai chiamati a confrontarci con un cambiamento strutturale di natura climatica. Un esempio evidente lo abbiamo vissuto nei primi giorni di giugno, segnati da un’ondata di calore che ha colpito il nostro Paese e molti Stati europei. Il 15 giugno, agli sgoccioli della primavera, sembrava già Ferragosto.
Il cambiamento climatico
Il cambiamento climatico va accettato per quello che è. Una canzone di Lucio Battisti, che esplora le contraddizioni dei sentimenti umani, contiene una frase emblematica: “Come può uno scoglio arginare il mare”. Un verso che esprime la lotta interiore tra desiderio e razionalità, tra l’impulso a procedere e la paura del cambiamento.
La società di oggi, travolta dal ciclone del cambiamento climatico, vive una simile contraddizione. In molti si domandano cosa fare, e in fondo la tensione tra resistenza e trasformazione che stiamo vivendo ripropone proprio quel dualismo cantato da Battisti. La soluzione, o quantomeno la via possibile, può risiedere nella costruzione di una transizione giusta, capace di rassicurare politica, governi, imprese e cittadini sul futuro.
Le contraddizioni
Nel contesto attuale, dopo oltre settantacinque anni di crescita e miglioramento diffuso delle condizioni di vita, la transizione giusta appare particolarmente complessa, perché porta alla luce profonde contraddizioni. Il cambiamento degli attuali equilibri che riguardano imprese, lavoratori, famiglie, pensionati e perfino i giovani, genera timori diffusi. La stessa politica, sia di governo sia di opposizione, mostra spesso la propria fragilità.
Le direttive europee CSRD e CS3D offrono un quadro normativo ambizioso, volto a responsabilizzare prima le grandi imprese e poi anche quelle di dimensioni minori in materia di sostenibilità ambientale e sociale. Si tratta di intervenire su tutte le attività che possono generare impatti lungo la catena del valore, sia nella produzione di beni che nell’erogazione di servizi.
Sotto la pressione dell’industria e degli Stati membri, la Commissione europea ha avviato una serie di iniziative volte ad alleggerire una regolamentazione ambientale ritenuta da alcuni troppo rigida, con riferimento al risparmio energetico, al controllo di qualità delle catene produttive e alla rendicontazione finanziaria legata alla sostenibilità.
Tali correzioni si rendono necessarie. A occhio e croce, si può ritenere che saranno accolte, perché l’obiettivo non è semplicemente una qualsiasi transizione, ma una transizione giusta, capace di ottenere un consenso sociale diffuso. In termini concreti, si tratta di ripensare, con la saggezza del buon padre di famiglia, gli assetti produttivi e sociali, per ridurre gli effetti devastanti causati da deforestazioni scriteriate, uso indiscriminato delle fonti fossili, sprechi idrici (l’acqua è una risorsa limitata), e cementificazione selvaggia.
Le sfide ambientali e sociali
Finora, per soddisfare una domanda crescente di beni e servizi a prezzi accessibili, si è spesso ignorato l’impatto ambientale di certe scelte produttive, contribuendo al deterioramento climatico globale. Per uscire da questo meccanismo dannoso, è essenziale che le sfide ambientali e sociali vengano affrontate con decisioni politiche lungimiranti, capaci di promuovere una transizione giusta, orientata all’accettabilità sociale universale.
Non può essere trascurato un dato allarmante: il costo medio annuo dei disastri ambientali è oggi stimato attorno ai 500 miliardi di dollari, rispetto ai 300 miliardi di pochi anni fa. Per questo, la transizione giusta non è solo uno strumento per ottenere consenso sociale: è una vera e propria opportunità strategica, sia per evitare sprechi colossali, sia per avviare un cambiamento profondo nel modo di produrre e di consumare. Le preoccupazioni di imprese e lavoratori rispetto a una transizione giusta possono essere superate se sapremo coniugare il cambiamento con l’utilizzo dell’innovazione tecnologica, della digitalizzazione, della crescente produzione di energia pulita, delle scoperte scientifiche e dell’intelligenza artificiale.
La politica, tanto a livello nazionale quanto europeo, non può permettersi di perdere questo treno. Lo evidenzia anche la quindicesima edizione dell’EY Future Consumer Index, che sottolinea un cambiamento strutturale nelle abitudini dei consumatori italiani. Nonostante le incertezze legate alle attuali crisi geopolitiche, il 77% dei consumatori si orienta oggi verso scelte basate su convenienza, qualità e trasparenza.
Non vorremmo che queste nuove esigenze dei consumatori si scontrassero con l’ostinazione di produttori e decisori politici timorosi del cambiamento. È nella transizione giusta che si deve ricomporre la volontà della politica e quella del sistema produttivo. In caso contrario, il cambiamento strutturale delle abitudini dei consumatori italiani rischia di restare sospeso, in una terra di nessuno, con un ulteriore colpo alla democrazia.
L’articolo Transizione giusta: la strada per affrontare il cambiamento climatico è tratto da Forbes Italia.