Articolo tratto dal numero di settembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Cuoio, rum, tabacco: l’odore dei club anni ’70. La musica e il rock, l’heavy metal di Tony Iommi che diventa essenza. Poi il salto negli anni ’80 e ’90, tra New Romantic e sperimentazioni dark, con l’eco notturna dei Duran Duran. Se c’è una definizione possibile di profumeria artistica, forse è proprio questa. Lo pensa Sergio Momo, ceo e direttore creativo di Xerjoff, maison torinese della profumeria di nicchia. Le sue fragranze raccontano storie, si nutrono di contaminazioni, e generano quello che lui definisce “un caos artistico positivo”, capace di unire pubblici diversi. “Usiamo il profumo come cavallo di Troia”, spiega, “per entrare in mondi diversi, come la musica, il design e il gusto, e per costruire esperienze multisensoriali”.
È nato così il progetto Xerjoff Blends, “per mettere a confronto creatività diverse”. Ne fanno parte le collaborazioni con Iommi, il chitarrista dei Black Sabbath, e con i Duran Duran, ma anche con Maison de Venoge, brand di champagne.
Non si tratta solo di creare un profumo: con Tony Iommi, ad esempio, è nato anche un brano musicale; con Maison de Venoge, oltre alla fragranza, è stato sviluppato un dosaggio di champagne su misura. Il profumo, spiega Momo, è un’espressione di creatività viva, che si nutre del dialogo con altri linguaggi. La collaborazione con lo chef pluristellato Yannick Alléno è un esempio: Momo e Alléno hanno unito le loro visioni per dar vita a un’esperienza in cui profumo e alta cucina si contaminano e si valorizzano a vicenda.
Un approccio che rispecchia l’evoluzione del settore: la profumeria di nicchia continua a crescere, spinta da un pubblico sempre più attento alla qualità, alla personalizzazione e al racconto dietro ogni fragranza. Secondo i dati di Dimension Market Research, il mercato globale dei profumi di lusso ha toccato i 24,3 miliardi di dollari nel 2024 e dovrebbe crescere fino a 45,8 miliardi entro il 2033.
Momo, com’è cambiato il settore della profumeria in Italia negli ultimi anni, a livello economico?
L’Italia ha storicamente la più alta densità al mondo di negozi indipendenti specializzati in profumeria. Un dato che ha contribuito a creare una cultura molto radicata dell’ospitalità, del consiglio personalizzato e del racconto legato alla fragranza. Questo approccio è molto diverso da quello più standardizzato dei grandi mall internazionali o degli spazi duty free, dove l’esperienza è spesso più anonima e commerciale. La profumeria artistica – o di nicchia – è un comparto che in Italia è cresciuto in modo organico e costante negli ultimi 20 anni, affermandosi come un vero segmento di mercato, con il proprio pubblico e i propri codici. Non è mai stata una moda effimera, ma un percorso di evoluzione e consolidamento. Il Covid, da questo punto di vista, ha avuto un impatto solo temporaneo: dopo la battuta d’arresto iniziale, la ripresa è stata rapida, spinta da un desiderio di esperienze più autentiche, sensoriali e personali. L’Italia ha un peso specifico molto forte, soprattutto nel bacino del Mediterraneo e in Europa, anche se il mercato statunitense, per dimensioni e investimenti, resta su un’altra scala. Ma in termini di qualità, cultura e proposta, il nostro Paese continua a essere un punto di riferimento.
Come cambiano i gusti in Italia, in Europa, nel Medio Oriente e negli Stati Uniti?
Se guardiamo ai dati globali della profumeria artistica, è interessante notare come molti best seller siano diventati trasversali: vengono apprezzati in contesti culturali molto diversi, a dimostrazione che certi codici olfattivi parlano ormai un linguaggio internazionale, proprio come accade nella moda o nel design. Detto questo, ci sono ancora specificità regionali che influenzano la composizione. Il Medio Oriente, ad esempio, ha una cultura del profumo antichissima e profondamente legata alla sfera spirituale e cerimoniale: qui si privilegiano spesso fragranze molto intense, ambrate, legnose, con oud e incensi in primo piano. In Europa il gusto è più variegato, con una maggiore apertura a sperimentazioni artistiche e concettuali, mentre negli Stati Uniti c’è una preferenza marcata per note agrumate, gourmand e più facili da indossare nel quotidiano. L’approccio occidentale, in generale, è più legato al lifestyle, all’identità individuale e al piacere personale. Tuttavia, grazie anche al ruolo dei social e all’internazionalizzazione del mercato, le distanze culturali si stanno assottigliando, e oggi una fragranza pensata in Italia può diventare un successo a Dubai o a New York nel giro di poche settimane.
Qual è stato il ruolo dei social nella diffusione della profumeria di nicchia?
È stato senza dubbio fondamentale. I social media hanno trasformato il modo in cui le persone scoprono, raccontano e condividono l’esperienza del profumo. Un tempo la profumeria di nicchia si trasmetteva quasi esclusivamente attraverso il passaparola nei negozi specializzati, gli eventi o le pubblicazioni di settore. Oggi, invece, un contenuto virale su Instagram o TikTok può accendere l’interesse per una fragranza in tutto il mondo nel giro di poche ore. Questo ha portato un’enorme visibilità, soprattutto tra le nuove generazioni, che hanno iniziato ad avvicinarsi a questo universo non più come a qualcosa di elitario, ma come a un linguaggio creativo con cui esprimere se stessi. È una democratizzazione culturale, che ha avuto un impatto molto positivo sul mercato. Tuttavia, come ogni strumento potente, anche i social richiedono responsabilità. La profumeria artistica non è un prodotto qualsiasi: è fatta di storie, materie prime spesso preziose, ricerca e visione artistica. È un linguaggio complesso, che ha bisogno di essere raccontato con consapevolezza. Gli influencer, soprattutto quelli che si occupano di beauty e lifestyle, dovrebbero fare uno sforzo in più per conoscere a fondo i brand, capire la filosofia creativa che li guida. Parlare di un profumo non significa solo descrivere se piace o meno: significa entrare nel racconto sensoriale e culturale che c’è dietro ogni flacone.
Qual è l’approccio dei giovani alla profumeria di nicchia?
I giovani non seguono più un percorso graduale, partendo da fragranze commerciali per poi avvicinarsi lentamente alla nicchia. Al contrario, arrivano subito a cercare profumi artistici, spesso spinti dalla curiosità, dall’estetica del prodotto o dalla narrazione sui social. Per loro il profumo non è solo un accessorio olfattivo, ma un simbolo identitario. È uno status symbol invisibile, ma potente. Come la moda, la musica o l’auto, anche il profumo diventa un modo per raccontare se stessi, per affermare unicità e gusto personale. È un investimento culturale, oltre che sensoriale.
Quando i giovani entrano in profumeria, che tipo di percorso fate insieme?
Molto spesso arrivano già preparati, sanno cosa vogliono provare. Partono dai nostri best seller o da profumi di cui hanno sentito parlare online, ma sono anche desiderosi di esplorare. Hanno un approccio curioso e dinamico. Il nostro ruolo, in questi casi, è quello di accompagnarli in un percorso di scoperta, come si fa con l’arte: prima si apprezzano i classici, poi si arriva alle avanguardie. Dalle composizioni più accessibili e immediate, si può arrivare a quelle più complesse e concettuali. Inoltre, i giovani non cercano più un solo profumo ‘firma’ da indossare sempre. Cambiano fragranza in base all’umore, alla stagione, all’occasione. Come si cambia outfit o playlist musicale. Il profumo diventa parte di un’identità in movimento, mutevole, che si esprime anche attraverso la scelta olfattiva.
Come cambia la comunicazione oggi, con un pubblico giovane sempre più coinvolto?
Più che cambiare, stiamo affiancando. Abbiamo clienti affezionati da 20 anni, che continuano a cercare profondità e qualità. Ma accanto a loro si sta affacciando una generazione nuova, molto diversa, che si muove su altri canali e con altre modalità. I giovani non leggono riviste cartacee, non guardano la tv: si informano su Instagram, TikTok, YouTube. Questo ci ha spinto a ripensare il linguaggio, senza però snaturare l’identità del brand. È una sfida interessante: comunicare contenuti complessi in modo accessibile, veloce, visivo. Camminare insieme, senza banalizzare. Anche per questo coinvolgiamo artisti, musicisti, designer: per creare esperienze condivise che parlino più linguaggi contemporaneamente.
Come nasce un profumo? Prima l’idea o prima gli ingredienti?
Dipende. A volte tutto parte dalla scoperta di una nuova materia prima, magari rara o inusuale, altre invece da una suggestione, da un’emozione o da una storia che vogliamo raccontare. Ma nella maggior parte dei casi è proprio la narrazione a guidarci. L’ingrediente, in questo senso, è il nostro lessico: serve a tradurre in note olfattive un concetto, una visione. Un esempio è la collezione Join the Club (Jtc), dove non indichiamo nemmeno le piramidi olfattive. Non parliamo di cosa c’è dentro, ma di cosa si sente. È una linea costruita sulle emozioni: come potrebbe profumare un club del sigaro? O della vela?
Quindi l’obiettivo è evocare un mondo?
Esattamente. Il nostro lavoro è creare un’atmosfera, un’immagine mentale. Spesso le persone acquistano una fragranza non perché conoscano realmente l’ambiente evocato, ma perché vogliono immaginarlo, sognarlo. Questo è il potere della profumeria artistica: suscitare emozione, alimentare l’immaginazione. All’inizio, soprattutto sui social, questo aspetto veniva frainteso. Si cercava la lista degli ingredienti, come fosse una ricetta. Ma la profumeria di nicchia non è solo chimica o formulazione, è esperienza sensoriale, proprio come il design o l’automotive.
L’articolo Quando il profumo incontra l’arte: la storia di Xerjoff è tratto da Forbes Italia.