Articolo tratto dal numero di luglio 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
La bolletta dell’elettricità: in Spagna l’energia costa meno, ed è anche per questo se lì si producono più macchine che in Italia. Uno dei temi sul tavolo per Stellantis è proprio la delocalizzazione in Spagna e Serbia di alcuni progetti, ad esempio la Grande Panda e la piattaforma Smart Car. Il direttore operativo Jean-Philippe Imparato è stato piuttosto brusco: fare una macchina in Spagna costa a Stellantis quasi 900 euro in meno rispetto all’Italia, “a causa del prezzo dell’energia”. Il governo italiano sembra consapevole del problema – un problema annoso, aggravato dai rincari del gas dovuti alla guerra in Ucraina.
Se l’Europa era legata al gas di Mosca, l’Italia era tra i paesi dove c’era la dipendenza più forte. Oggi il gas resta una fonte d’energia cruciale per l’Europa. La differenza è che ne compriamo molto meno dalla Russia: abbiamo diversificato gli approvvigionamenti, acquistando di più da Stati Uniti, Norvegia, Algeria, Azerbaigian. Risultato: il costo del gas è sceso molto, senza però tornare alla normalità pre-crisi. E nonostante il calo rispetto ai picchi del 2022, anche l’elettricità continua a costare troppo. Il motivo principale è che il prezzo dell’elettricità, oggi come ieri, è ancora fortemente influenzato da quello del gas.
Perché l’elettricità costa così tanto
Pier Paolo Raimondi, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) ed esperto di politiche energetiche, lo spiega così: “Il sistema europeo si basa su un meccanismo chiamato system marginal price, in cui il prezzo dell’elettricità viene fissato dall’ultima centrale necessaria a soddisfare la domanda, quella con il costo marginale più alto. E siccome, in genere, si tratta di centrali a gas, è il prezzo del gas a determinare quello di tutta l’elettricità”. Un sistema che, finché il gas aveva un costo relativamente basso e stabile, sembrava funzionare bene. Garantiva un margine di profitto alle rinnovabili, le quali hanno bisogno di grossi investimenti iniziali, per poi produrre energia a costo marginale quasi nullo.
Ma con l’esplosione dei prezzi del gas l’intero impianto è andato in crisi. Se questo vale per tutta Europa, in Italia l’effetto è stato amplificato. “Siamo uno dei paesi più dipendenti dal gas”, spiega Raimondi. “Circa il 40% del nostro mix energetico si basa su questa fonte, e circa il 50% dell’elettricità prodotta nel Paese arriva da centrali a gas”. Al contrario, la Francia può contare sul nucleare, i paesi nordici sull’idroelettrico, la Spagna su un mix bilanciato tra nucleare e rinnovabili, e la Germania, per quanto criticabile dal punto di vista ambientale, fa ancora largo uso del carbone. La struttura del nostro sistema ci espone in modo diretto alla volatilità del mercato del gas, che si trasmette immediatamente al prezzo dell’elettricità.
L’effetto sull’economia italiana
Nel 2024, secondo i dati dell’Enea, il prezzo medio dell’elettricità sulla borsa italiana è stato di 108 euro per megawattora, contro i 78 della Germania, i 63 della Spagna e i 58 della Francia. Nonostante questo handicap, l’economia italiana tutto sommato ha retto il colpo. E c’è una buona notizia: lo spread, la differenza di rendimento tra i nostri buoni del tesoro e i bund decennali tedeschi, è sceso al livello più basso degli ultimi 15 anni. La disoccupazione è bassa. Tuttavia è bassa anche la produttività del lavoro, il motivo principale per cui i salari non crescono. Non c’è recessione, ma il Pil è stagnante. Negli ultimi due anni la produzione industriale italiana ha sempre avuto il segno meno. Nel 2024 un calo del 3,5 % su base annua, con l’ultimo trimestre in flessione dell’1,2 % rispetto ai tre mesi precedenti, e un dicembre da brividi: ‒7,1 % tendenziale. Soltanto ad aprile 2025 è tornata a crescere, interrompendo una serie negativa che durava da 26 mesi.
Come si può rimediare
Il costo dell’energia resta una zavorra. Come si fa a rimediare? C’è una prima variabile su cui si potrebbe incidere, che non dipende dalla geopolitica o dalla struttura del mercato del gas: le tasse, in Italia nettamente più alte che in altri grandi paesi europei. Nel primo semestre del 2024 la tassazione sull’energia pesava per il 27,5% del costo finale, quasi il doppio della media europea – il bilancio è migliore per le bollette domestiche, dove l’Italia è in linea con il resto d’Europa. Si potrebbe agire su questo, e per alcuni anni è stato fatto, ma dal 2024 le tasse sono tornate al solito livello.
L’altra strada su cui si può insistere è la riduzione della dipendenza dal gas, cioè installare più rinnovabili. Ovviamente questi investimenti hanno spese fisse – pannelli, batterie, connessioni alle reti – che a breve termine finiscono nelle bollette. Ma una volta installati, eolico e solare producono energia a bassissimo costo. L’Italia si è posta obiettivi ambiziosi: raggiungere 131 gigawatt di capacità da fonti rinnovabili entro il 2030 (erano 61 nel 2022), così da coprire circa il 65% del fabbisogno elettrico. Un traguardo che implica l’installazione di almeno 6-8 gigawatt all’anno. Nel 2024 ne sono stati installati circa sei, segno che qualcosa si sta muovendo. “Ma dal 2015 ci si è mossi a rilento, con una media di appena un gigawatt all’anno tra il 2015 e il 2020”, ricorda l’analista dello Iai.
Il problema non è solo tecnologico, ma anche politico e burocratico. “L’Italia ha fissato obiettivi ambiziosi”, dice Raimondi, “ma non ha creato una governance stabile, né un quadro normativo coerente”. Il decreto sulle ‘aree idonee’ per gli impianti rinnovabili, ad esempio, ha dato ampio potere alle regioni, e alcune – come la Sardegna – hanno dichiarato non idoneo oltre il 99% del proprio territorio, bloccando così molti progetti. Altri provvedimenti, come il decreto Agricoltura, hanno messo i bastoni tra le ruote all’agro-fotovoltaico. “Il risultato è un sistema che da un lato spinge per la transizione, dall’altro crea ostacoli e incertezze”.
Nuovi modelli
Un’altra soluzione di cui si parla spesso è provare a disaccoppiare il costo dell’elettricità da quello del gas. Le rinnovabili costano meno, ma il vantaggio si perde se chi le produce continua a venderle al prezzo marginale più alto, cioè quello del gas. Una delle strade più battute in Europa è quella dei contratti a lungo termine: i power purchase agreements (Ppa), tra produttori di energia rinnovabile e imprese, e i contratti per differenza (Cfd), in cui lo Stato garantisce un prezzo minimo al produttore e un tetto massimo al consumatore. Meccanismi che dovrebbero abbassare la bolletta senza disincentivare gli investimenti.
In Italia si sta anche sperimentando un modello chiamato ‘energy release’, che punta a fornire energia a prezzo calmierato alle imprese più esposte. Ecco come funziona: il Gse, ovvero il Gestore dei Servizi Energetici, società interamente controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze, acquista energia elettrica da vecchi impianti rinnovabili già incentivati, che sono obbligati a vendergliela. Quell’energia viene poi rivenduta a un prezzo fisso calmierato alle grandi imprese energivore, come acciaierie e cementifici – un prezzo più basso dei valori spot nei momenti di crisi e volatilità.
Il futuro del gas
Resta il fatto che il nostro sistema è ancora tarato sull’offerta di gas, e funziona bene se il mercato riesce a garantire quantità sufficienti, almeno nel breve-medio periodo. Privata del gas russo via tubo, l’Europa si sta rivolgendo sempre di più al gas naturale liquefatto portato dalle navi. C’è un’ondata di investimenti in arrivo: attualmente, il mercato globale del gnl si attesta intorno alle 400 milioni di tonnellate annue, ma sono già in costruzione impianti per altri 180 milioni, con ulteriori 100 milioni in fase di pianificazione. Tra il 2027 e il 2030, l’offerta globale potrebbe quindi aumentare drasticamente, facendo scendere i prezzi spot sia in Europa che in Asia.
Tuttavia, negli Stati Uniti il costo del gnl potrebbe salire, sospinto dalla crescente richiesta di energia da parte dei data center e dell’intelligenza artificiale. Secondo le stime della società di consulenza energetica Wood Mackenzie, nei prossimi cinque-dieci anni il prezzo del gnl americano potrebbe arrivare a 32 euro per megawattora. In tal caso, per le utility europee diventerebbe poco redditizio – o addirittura in perdita – rivendere il gas statunitense. Tra dieci anni, comunque, potremmo aver ridotto i consumi di gas. Oppure, magari, torneremo ad acquistarlo in grandi quantità da Mosca – e sarebbe un errore.
L’articolo Perché in Italia l’elettricità costa più che nel resto d’Europa è tratto da Forbes Italia.