Articolo tratto dal numero di maggio 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
La prima legge italiana che regola la space economy dovrà essere il modello con cui presentarsi ai tavoli europei per discutere della norma continentale. Ne è convinto il relatore del ddl Spazio, Andrea Mascaretti, che, prima di fare un passo avanti, ricorda la storia. Torna ai motivi per cui nel 2011, con la fine del programma Space Shuttle negli Stati Uniti, si arrivò a rivoluzionare il settore aprendolo ai privati, Elon Musk in primis: “C’erano le tecnologie e c’erano le aziende”. Non solo i colossi, come Boeing, ma realtà emergenti. Da lì SpaceX decollò fino a dominare il settore. Un’ascesa basata su tecnologie satellitari e di accesso allo spazio che oggi sono disponibili in Italia. E che richiedono una regolamentazione puntuale. La legge, in discussione al Senato dopo l’approvazione alla Camera, punta a regolare in modo generale tutti gli aspetti della space economy, riferita ai privati e non solo. Mascaretti, di famiglia milanese “dal ‘700”, ingegnere aerospaziale appassionato di volo, racconta di aver tenuto in mano una cloche prima del volante di un’auto, e non nasconde grandi aspettative: “In Europa la nostra legge è la prima di questo tipo”, sostiene. “Quando sarà il momento di emanarne una europea, la proporremo come modello”.
Le radici dello space in Italy
Si concede un altro passo indietro – un salto a dire il vero, di oltre 60 anni – per ricordare Luigi Broglio ed Enrico Mattei, sulle cui spalle poggia lo space in Italy: “Con il programma San Marco, l’Italia del Dopoguerra, sebbene in ginocchio, diventò il terzo paese dopo Unione Sovietica e Stati Uniti a raggiungere lo spazio in autonomia, assumendosi la responsabilità di costruire il satellite, gestirne il lancio e la messa in orbita. Presto si dotò anche della sua rampa di lancio, a Malindi, messa a disposizione dall’Eni. Broglio, il padre dell’astronautica italiana, chiese a Mattei di regalare alla nazione una piattaforma petrolifera per le missioni spaziali”. Venne accontentato e nacque il centro spaziale equatoriale italiano, con le sue piattaforme oceaniche operative fin dal 1966.
Oggi la missione non è meno avveniristica: fornire un quadro normativo a un mercato che 15 anni fa sarebbe stato difficile immaginare. Vengono istituite per la prima volta norme tecniche, come il registro degli oggetti lanciati e i requisiti per operare oltre l’atmosfera. Carte in più da firmare, certo, ma “l’alternativa è l’anarchia”, dice il relatore della legge, fortemente voluta dal ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso.
I fondi per lo spazio
Il ddl istituisce il Fondo per l’economia dello spazio – stanziando 35 milioni – alimentato dai contributi obbligatori che le aziende pagheranno per ottenere l’autorizzazione dall’Agenzia spaziale italiana. Ed eventuali sanzioni. Servirà a sostenere un sistema di finanziamento che avvantaggi le aziende nel percorso verso le stelle, con una percentuale a fondo perduto che può arrivare al 70% (“Nella prima fase il rischio dovrebbe essere coperto da garanzie pubbliche, o ridotto. Il fondo può essere utilizzato anche per questo”) e insieme con un piano nazionale per l’economia dello spazio, che servirà per orientare le scelte. “Sarà aggiornato con cadenza biennale, a sostegno del mercato commerciale”, aggiunge il deputato, che fa valere una cifra: gli oltre 7 miliardi e 200 milioni che il governo ha reso disponibili in questi anni per l’economia dello spazio, Pnrr compreso. Con un rischio ‘bolla’, che però lui non vede all’orizzonte: “Dobbiamo sostenere le nostre imprese perché siano il più competitive possibile e perché in questa fase, difficile, siano le prime europee a entrare nel mercato, e a farlo bene. Come in tutti i mercati, chi è bravo vince”.
L’articolo 27 obbliga, nel caso di appalti non suddivisi in lotti, ad assegnare almeno il 10% del contratto di commesse pubbliche in subappalto a startup innovative e pmi. Queste ultime costituiscono il 66% del tessuto economico spaziale. Materia spinosa è invece l’articolo 25, ormai famigerato. Secondo i critici, consegnerà nelle mani di Musk le chiavi (virtuali) del nostro Paese, istituendo la “riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari”, infrastrutture a disposizione in circostanze critiche, come importanti eventi climatici o terremoti. In molti pensano anche a un eventuale conflitto. Nonostante sia indicata anche la sicurezza tra i ‘beni’ da tutelare, “è una legge che non riguarda le attività della Difesa e degli organismi di informazione per la sicurezza nazionale”, precisa Mascaretti rimandando all’articolo 28, che lo esplicita. “Per situazioni critiche si intendono circostanze come le catastrofi climatiche o i terremoti, che potrebbero rendere indisponibili le reti di comunicazione terrestri”, aggiunge.
Le polemiche su Enac
Sarà il Comint, cioè il Comitato interministeriale per le politiche spaziali, ad avere la responsabilità della pianificazione. Gli accertamenti per la certificazione e la tenuta del registro nazionale di immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio faranno invece capo all’Agenzia spaziale italiana, della quale si prevede un aumento di personale fino “al 50% della forza lavoro attuale”.
Mascaretti respinge anche le polemiche su Enac, come autorità di controllo sui voli spaziali che non si inseriscono in orbita: “La legge non regolamenta i lanci suborbitali”. Che, tuttavia, non vengono esclusi. Il dettaglio potrebbe non essere solo formale: Virgin Galactic, che da anni tesse una collaborazione per usare lo spazioporto nazionale di Grottaglie, ‘vola’ fino a 88 chilometri di quota, appena sopra gli 80 che segnano l’inizio convenzionale dello spazio statunitense. A livello internazionale, invece, il confine del cielo è la ‘linea di Karman’, a 100 chilometri di altitudine, dove per esempio arriva la capsula di Blue Origin. È un punto su cui è legittimo attendere precisazioni e atti successivi.
Capofila d’Europa
Intanto la legge prova a raccogliere tutto quanto riguardi lo spazio a livello commerciale, l’accesso all’orbita e le operazioni da parte di aziende italiane, anche quelle attive all’estero. È previsto l’obbligo di un’assicurazione, con massimali fissati a 100 milioni di euro e comunque non inferiori a 50 o 20 per le attività di ricerca e startup innovative. Almeno all’inizio, secondo Mascaretti, il mercato si dovrà assestare: “Per i massimali assicurativi verranno definite tre fasce e, in fasi successive, suddivise le attività da assicurare, ma è un mercato nuovo, che si deve ancora formare”.
Oggi, come ai suoi esordi oltre l’atmosfera, l’Italia deve farsi capofila di una rivoluzione, almeno in Europa. È il senso del pensiero di Mascaretti. Sebbene, ancora una volta, altri abbiano aperto la strada – Stati Uniti in primis, ma con la Cina a inseguire sempre più rapidamente – è tempo di inserirsi nel mercato mondiale forti di un sistema regolamentato: “Con questa legge, stiamo creando le condizioni perché l’industria nazionale entri nella dimensione commerciale dello spazio e possa spingere l’Europa a fare lo stesso. Su questa partita l’Unione è in ritardo. L’augurio è che ci segua”.
L’articolo Perché il ddl Spazio italiano può diventare un modello per la normativa europea è tratto da Forbes Italia.