24 Giugno 2025

Oro e giochi di potere: come le potenze mondiali alimentano la crisi umanitaria in Sudan

Articolo tratto dal numero di giugno 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

“Il conflitto in Sudan sta causando la più grave crisi umanitaria del mondo”. Così, nel gennaio 2025, si esprimeva papa Francesco riguardo all’ennesima guerra civile, iniziata nell’aprile 2023. Parole confermate dai dati delle Nazioni Unite, che hanno stimato in 12 milioni gli sfollati, di cui circa 8,6 milioni interni e i restanti nei paesi limitrofi. Gli scontri cominciati oltre due anni fa tra le Rapid support forces (Rsf, forze di supporto rapido) del generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, e l’esercito regolare del generale Abdel Fattah al-Burhan hanno causato oltre 150mila morti civili e portato a serie condizioni di malnutrizione circa la metà dei 48 milioni di sudanesi.

Il casus belli è stato il controllo delle immense risorse aurifere scoperte nel paese dopo la scissione, nel 2011, del Sud Sudan e la perdita di quasi tutte le riserve petrolifere. L’oro trovato nel Darfur ha fatto del Sudan il terzo produttore africano dopo Ghana e Sudafrica, il decimo a livello globale. La crescita del prezzo del metallo è stata una maledizione per il paese. Sono sorti conflitti a partire dalla destituzione, nell’aprile 2019, del dittatore Omar Hasan Ahmad al Bashir, passando per il golpe contro il primo ministro Abdalla Hamdok, nel 2021, fino allo scontro tra esercito regolare sudanese (Saf) e Rsf che ha fatto precipitare il Sudan nella violenza.

Giochi di potere

Alle tensioni hanno contribuito anche le intromissioni di numerose potenze straniere, come Russia, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Iran e Cina, che perseguono i loro obiettivi strategici nel paese. In primis Mosca, che, secondo un’inchiesta dell’emittente Cnn, ha fornito tramite la compagnia militare privata Wagner, dal 2017, supporto militare alle Rsf in cambio della gestione di alcune miniere del Darfur. L’oro contrabbandato dai russi sarebbe servito anche ad aggirare le sanzioni occidentali. La Russia, però, sembra aver voltato le spalle alle Rsf di Dagalo. Putin ha trovato un accordo con il governo di al-Burhan per la costruzione di una base navale militare russa a Port Sudan sul Mar Rosso. Il Sudan si affaccia per 853 chilometri sul Mar Rosso, tra lo stretto di Suez e quello di Bab el Mandeb. Mosca, per ottenere il via libera alla costruzione di una base in grado di ospitare fino a 300 militari e quattro navi da guerra, anche a propulsione nucleare, ha appoggiato Al-burhan sia in sede Onu, sia a livello militare.

Gli Emirati Arabi Uniti, invece, sono stati denunciati dal governo sudanese alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia per aver fornito armi, droni e addestramento militare alle Rsf di Dagalo, che hanno compiuto atrocità nei confronti della minoranza masalita del Darfur. Accuse confermate da un rapporto Onu, visionato dal Guardian, secondo cui negli ultimi due anni oltre 120 aerei emiratini hanno trasportato dispositivi militari in Ciad, passati poi in Sudan per rifornire le truppe di Dagalo. In cambio di questo appoggio, gli Emirati avrebbero ottenuto circa 3 miliardi di dollari in oro contrabbandato dalle miniere sudanesi. Il governo di Abu Dhabi, ovviamente, bolla queste inchieste come pure fantasia.

L’influenza delle potenze straniere

Un altro attore rilevante è l’Arabia Saudita. Riad, vista la vicinanza geografica al Sudan, è molto preoccupata che la destabilizzazione del vicino possa danneggiare i suoi progetti in vista di Vision 2030 e appoggia quindi le forze governative Saf. Supporto fornito anche dal rivale storico della monarchia saudita, l’Iran, che ha rifornito l’esercito regolare di droni da combattimento Mehajer-6. Anche la Turchia, che ha numerosi interessi nel paese, avendo investito molto in infrastrutture portuali e non, ha supportato le Saf. Secondo il Washington Post, l’azienda turca Baykar, la stessa che nel febbraio 2025 ha acquisito Piaggio Aerospace, ha venduto al governo al-Burhan otto droni d’assalto TB2, in grado di portare fino a 136 kg di esplosivo e missili, per il corrispettivo di 120 milioni di dollari. Questi armamenti hanno permesso alle Saf di respingere gli assalti delle Rsf in Darfur e di contrattaccare, riuscendo dopo due anni, ad aprile, a riconquistare completamente il palazzo presidenziale e l’aeroporto della capitale, Khartum.

Anche Pechino, nonostante non abbia fornito un sostegno militare diretto, ha notevoli interessi nel paese. Negli ultimi dieci anni la Cina ha prestato oltre 5 miliardi di dollari al Sudan e prima dello scoppio della guerra civile erano presenti oltre 1.500 lavoratori e 130 aziende cinesi. Inoltre la China National Petroleum Corp (Cnpc) rimane la principale azionista del consorzio petrolifero che opera in Sudan e in Sud Sudan, e la compagnia nazionale sudanese resta esposta per oltre 2,5 miliardi di dollari nei confronti della Cnpc. Il presidente cinese, Xi Jinping, vuole perciò una stabilizzazione del paese sotto il governo legittimo di al-Burhan.

La situazione umanitaria

La situazione umanitaria resta comunque molto precaria. L’ufficio della Nazioni Unite per gli Affari umanitari ha stimato in 6 miliardi di dollari gli aiuti necessari al Sudan nel 2025, di cui solo il 5% è al momento garantito. A peggiorare le cose ci sono i tagli, da parte dell’amministrazione Trump, ai finanziamenti Usaid, che costituivano il 44% degli aiuti umanitari al Sudan. Per di più, secondo Emergency, a causa della guerra un ospedale su tre non è più operativo. L’incremento dei prezzi dell’oro, intanto, continuerà a portare instabilità e devastazione. Il Sudan è da annoverare nella lista degli stati ‘falliti’ dell’Africa, un’arena per gli interessi contrastanti di potenze regionali o globali nocivi per la popolazione locale. Resta però di fondamentale importanza geostrategica per l’Occidente, sia perché affaccia sul Mar Rosso, da cui passa gran parte del commercio euroasiatico e del greggio mediorientale, sia come stato di partenza di migranti.

L’articolo Oro e giochi di potere: come le potenze mondiali alimentano la crisi umanitaria in Sudan è tratto da Forbes Italia.