Articolo tratto dal numero di giugno 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Nel 1978 quattro imprenditori della carta di Lucca acquistarono una piccola azienda, la chiamarono Macchinari Fosber e iniziarono a produrre impianti per la movimentazione del cartone. Quarantasette anni più tardi l’impresa è diventata internazionale, si chiama Fosber Group e ha 400 milioni di euro di ricavi, con circa 1.200 dipendenti. Ha la sede principale in Italia, un’altra in Cina che copre anche il Sudest asiatico e un ramo nordamericano con 220 dipendenti e una quota di mercato del 67%. Negli ultimi anni alla sua crescita ha contribuito la pandemia, che ha spinto l’e-commerce e ha fatto aumentare la domanda di imballaggi.
Dal 2014 Fosber è di proprietà di un gruppo cinese quotato in Borsa, Dongfang Precision. A guidarla è Marco Bertola, entrato in azienda nel 1998 come montatore meccanico. “All’epoca Lucca viveva un’epoca d’oro per l’industria della carta e dei macchinari per la carta”, ricorda. “Mi ero appena diplomato all’Istituto tecnico industriale, con specializzazione meccanica. Fui contattato da due aziende. La verità è che scelsi Fosber perché era la più vicina a casa mia. Non avevo idea di che cosa facesse”. Dopo pochi mesi Bertola fu assegnato all’assemblaggio di un macchinario chiave. “Iniziai a studiare manuali di montaggio. Di giorno scrivevo appunti a mano, la sera li ricopiavo in bella copia su un computer che mi aveva regalato mia nonna. Quattro mesi dopo la filiale americana dovette fare un intervento di riparazione proprio sulla macchina a cui lavoravo. Per farlo usarono i miei appunti”.
Anche grazie a quell’episodio Bertola, dopo il servizio militare, divenne disegnatore meccanico. Poi ha ricoperto ruoli di sempre maggiore responsabilità fino a quando, nel 2015, è stato incaricato della fase di startup dell’attività di Fosber in Cina. Di ritorno in Italia dopo la pandemia, nel 2022 è stato nominato prima direttore generale, poi amministratore delegato.
Bertola, come spiegherebbe l’attività di Fosber a chi non conosce il vostro settore?
Progettiamo macchine che partono da una bobina di carta e, attraverso i nostri macchinari (una delle nostre linee è lunga circa 120 metri), restituiamo come prodotto finito i fogli di cartone. Quei fogli diventano imballaggi per qualsiasi cosa: dai pacchi spediti dagli e-commerce ai cartoni della pizza.
Qual è il peso dei vari mercati internazionali sulla vostra attività?
L’America del Nord pesa per il 40% circa. Il resto è diviso più o meno alla pari tra America Latina ed Europa. I mercati dell’Africa e dell’India sono più piccoli, mentre quello della Turchia è molto interessante. Al momento l’attività di Fosber Asia non è consolidata con Fosber Group.
Quali sono i paesi o le regioni ai quali guardate con maggiore interesse?
La priorità è non perdere competitività dove siamo più forti. Poi le grandi potenzialità di sviluppo sono in Cina e nel Sudest asiatico. Più in là si aggiungerà l’India, che però è ancora un mercato non maturo: la qualità della carta è ancora troppo bassa per macchinari di fascia alta come i nostri. Sarebbe come vendere una Ferrari dove non ci sono strade asfaltate.
A livello di concorrenza qual è lo scenario del mercato?
Negli ultimi 15 anni il panorama si è ripulito: ci sono state molte fusioni e acquisizioni. Noi, per esempio, abbiamo comprato un’azienda storica del comparto, la Agnati. Oggi, nella fascia medio-alta in cui operiamo, ci sono quattro aziende principali.
Quali sono gli obiettivi di crescita?
Per quanto riguarda la crescita organica, negli ultimi sette anni siamo sempre cresciuti almeno del 10%, più del doppio della media del settore. Puntiamo a continuare su questi ritmi. Entro l’anno prossimo contiamo di lanciare nuovi prodotti. Poi c’è sempre la possibilità di operazioni di m&a.
Al di là dell’aspetto strettamente economico, quali sono i vostri progetti più importanti?
Riteniamo si debba fare qualcosa, a livello sociale, per ridurre il divario tra il mondo accademico e quello industriale. Investiremo nella nostra Academy per creare percorsi di formazione.
Il vostro è considerato un settore tradizionale. Qual è il livello tecnologico?
Quando partecipiamo a convegni con aziende di altri ambiti, tutti rimangono sorpresi dal livello tecnologico nella nostra industria. La crescita di Fosber è stata alimentata da industria 4.0, digitalizzazione, internet of things, intelligenza artificiale. Per noi investire sull’IA è necessario, anche perché il settore fatica ad attrarre lavoratori. Si opera in ambienti rumorosi, ci sono anche turni di notte perché gli impianti devono lavorare 24 ore al giorno. Trovare giovani desiderosi di entrare in questo campo sarà difficile, perciò dobbiamo compensare con l’IA. Oggi si può fare con tre o quattro persone quello che 15 anni si faceva con 12 o 13.
Un esempio di applicazione dell’intelligenza artificiale al vostro settore?
Abbiamo un’IA brevettata, chiamata Aida (artificial intelligence data analysis) che rende le attività più efficienti e che usiamo per dare assistenza al cliente. Ci serve, ad esempio, per sfruttare l’enorme mole di dati prodotta dalle macchine. Possiamo rilevare il calo di prestazione di un impianto prima che il cliente se ne accorga. Non aspettiamo che sia lui a chiamarci, ma lo avvisiamo noi. E quando riceviamo una richiesta, l’IA può suggerire interventi.
Quali sono, secondo lei, i punti di forza e i punti deboli di un amministratore delegato che ha svolto tutta la sua carriera nella stessa azienda?
Fosber mi ha permesso di vivere tutte le possibili sfide di questo settore, inclusa un’esperienza internazionale come quella del lancio della società cinese. In questi anni sono anche tornato agli studi, a ingegneria gestionale. Attraverso le camere di commercio italiane ed europee sono entrato in contatto con enormi gruppi internazionali e ho potuto capire che cosa potevamo replicare da noi. Ho diversificato, sia pure all’interno della stessa azienda. E ho il vantaggio di avere esplorato a fondo un settore molto particolare come il nostro.
Che genere di cultura aziendale cerca di costruire?
Parto dalla consapevolezza che nessuno fa niente da solo. Mi piace l’espressione ‘leadership inclusiva’: ognuno deve essere libero di esprimersi e dare sfogo alla sua inventiva, al di là del fatto che chi comanda abbia l’ultima parola. Non voglio ‘yes men’, ma persone che garantiscano un confronto. E voglio che il nostro pensiero ruoti sempre intorno al cliente. La prima domanda che faccio ai colloqui è: ‘Chi ti paga lo stipendio?’. Chi mi risponde ‘la società’ anziché ‘il cliente’ non viene assunto.
L’articolo La storia di Fosber Group, la multinazionale lucchese della carta da 400 milioni di ricavi è tratto da Forbes Italia.