19 Settembre 2025

La Russia nell’ombra del dragone favorisce solo due egemonie, Cina e Stati Uniti

di Alessandro Dall’Onda

La guerra in Ucraina continua, con azioni offensive russe e contrattacchi ucraini e senza nessuna vittoria o trattativa concreta, per ora, a distanza di oltre 3 anni, dall’inizio del conflitto che bussa alle porte dell’Europa. L’Occidente (Ue, Usa, Nato) continua a fornire sostegno militare, economico e diplomatico a Kiev, ma vi sono limiti: costi interni, stanchezza, rischi politici.

Le sanzioni verso la Russia pesano e la sfiducia degli azionisti internazionali è evidente, ma Mosca ha reti di sostegno economico (tra cui la Cina) che mitigano alcuni effetti e oggi, più che mai, il dragone rappresenta un attore fondamentale per garantire la capacità militare dell’orso; è scritto nei rapporti delle intelligence, lo vediamo sulle lunghe passerelle della diplomazia, con le strette di mano sotto i riflettori di Pechino che accoglie tutti come farebbe, appunto, una realtà egemone, l’unica dell’est.

Il piano di pace della Cina (“China’s Position on the Political Settlement of the Ukrainian Crisis”, anche chiamato “peace plan”) è stato accolto con cautela poiché contiene termini vaghi e non condanna esplicitamente l’invasione, parla solo in parte dell’integrità territoriale, ma è vista da molti come un tentativo di mediazione o come un modo per influenzare il risultato. Gli strateghi di Pechino, intanto, studiano attentamente il conflitto, traendone insegnamenti per la propria strategia militare, diplomatica e politica, incluse le tattiche ibride, la resilienza economica sotto sanzioni, e la reazione degli alleati/avversari, nulla è a caso e non vi è miglior simulatore didattico se non un vero e proprio conflitto a migliaia di chilometri di distanza.

Per comprendere le ragioni di questo allineamento della Russia alla Cina non bisogna leggere solo i capitoli della storia che descrivono i fasti che tutti conosciamo, no, bisogna guardare, ora, allo scenario economico e finanziario che vede la Cina principale interlocutrice degli Stati Uniti e le ragioni sono tante, ben 759 miliardi di ragioni, dollaro in più, dollaro in meno.

Sviluppiamo allora delle ipotesi che favorirebbero la strategia di Xi Jinping.

Stabilizzazione con “congelamento” del conflitto

Dopo nuovi contrattacchi ucraini e pressioni sul fronte diplomatico, potrebbe emergere un compromesso che fissi delle linee di contenimento: la Russia mantiene parte delle sue conquiste, l’Ucraina controlla il resto, con frontiere contese, zone cuscinetto, cessate il fuoco intermittenti. La Cina spingerebbe per un “freeze” come parte del suo piano di pace, cercando di consolidare la posizione russa, limitare l’espansione degli impegni occidentali, e presentarsi come grande potenza mediatrice. Potrebbe offrire aiuto economico per la ricostruzione in aree non attive militarmente, ottenere contratti infrastrutturali, accrescere la sua influenza nei paesi che cercano una via d’uscita: Europa dell’Est, Asia centrale.

Questa ipotesi comporterebbe il rischio di destabilizzazione continua: piccoli focolai, insicurezza lungo il fronte. Possibile indebolimento del morale ucraino, pressioni politiche interne nei paesi occidentali per ridurre sostegno. La Cina potrebbe essere vista come complice di un compromesso ingiusto da molti ucraini e alleati occidentali.

Continuazione a lungo termine del conflitto con linee attive

Né la Russia né l’Ucraina riescono a ottenere una vittoria decisiva, ma il conflitto resta attivo su più fronti, con alternanza di successi, attacchi, controffensive, uso massiccio di droni, guerra di logoramento. In questo scenario la Cina resta “ambivalente”: non interviene militarmente, ma fornisce supporto economico, diplomazia, tecnologie “dual-use”. Studia il conflitto come laboratorio per le proprie forze. Cerca di mantenere buone relazioni con la Russia, ma vuole evitare che la guerra destabilizzi la regione in modo tale da minacciare i suoi interessi (via le sanzioni, i rifugiati, la sicurezza energetica). Potrebbe facilitare negoziati parziali, ma senza imporre condizioni inspiegabili a Mosca.

Impatto: alto costo umano ed economico per l’Ucraina. Pressione crescente sugli alleati occidentali finanziariamente e politicamente. Rischio di escalation (es. attacchi su aree civili, uso di armi più distruttive). La Cina deve bilanciare il rischio reputazionale se vista come supporto della Russia senza condanne forti e ricadute sugli asset strategici.

Vittoria russa con guadagni strategici decisivi

La Russia ottiene guadagni territoriali sostenuti, forse tramite superiorità tattica, logoramento occidentale, problemi interni in Ucraina, crisi economica o politica in Occidente. Qui la Cina potrebbe trarre certamente benefici strategici: rafforzamento del principio che l’uso della forza può cambiare i confini con un rischio limitato; migliori condizioni energetiche e commerciali con la Russia; un partner stabile lungo i suoi confini settentrionali; maggiore spazio d’azione in altri fronti (Taiwan, mare Cinese, etc.). Ma, al contempo, dovrà gestire la reazione internazionale, le sanzioni indirette, la pressione diplomatica.

Il rischio sarebbe legato alle forti conseguenze morali, legali, reputazionali per la comunità internazionale; potenziale spinta verso nuove alleanze o riarmo in Europa; maggiore instabilità regionale. Per la Cina il rischio che una vittoria russa porti a una Russia meno dipendente da Pechino o che esibisca una politica estera più autonoma e aggressiva, che talvolta non potrebbe coincidere con gli interessi cinesi.

Accordo negoziato fortemente mediato dall’esterno

A causa della pressione economica, stanchezza interna, o crisi politica, le parti accettano negoziati sotto forte pressione internazionale. L’accordo potrebbe prevedere il cessate il fuoco prolungato, garanzie di sicurezza per Ucraina, magari concessioni territoriali, garanzie non militari. La Cina può proporsi come uno dei garanti (anche se al momento Kiev è diffidente). Può mediare, offrire infrastrutture per la ricostruzione, fare leva per espandere la sua influenza diplomatica. Potrebbe usare l’occasione per migliorare le relazioni con l’Europa e altri paesi del Sud del mondo mostrando “responsabilità globale”.

Qui si giocherebbe la grande sfida per la legittimità degli ucraini di essere una nazione autonoma e indipendente. Una possibile insoddisfazione diffusa se la cessione territoriale venisse percepita come troppo grande; il rischio che le clausole di garanzia siano deboli o violate. Anche il ruolo della Cina, in questa proiezione, dovrà essere credibile per l’Occidente e per l’Ucraina, altrimenti azionerebbe un potenziale boomerang in termini di fiducia con le relative conseguenze sui mercati.

E gli Stati Uniti?

E’ bene precisare che una guerra per procura è la soluzione migliore per Cina e Stati Uniti. Prodotti in uscita, flussi economici in entrata, logoramento delle realtà attive nel conflitto. Infatti finora Washington ha sostenuto Kiev con forniture militari, intelligence e aiuti finanziari, evitando però un coinvolgimento diretto sul campo. Ma cosa accadrebbe se gli Stati Uniti decidessero di intervenire in modo più attivo? Quale sarebbe la reazione della Cina, partner strategico della Russia, ma al contempo potenza interessata alla stabilità globale? Allo stato attuale gli Stati Uniti continuano a fornire a Kiev sistemi d’arma avanzati, addestramento e informazioni utili all’intelligence. In questo quadro la Cina mantiene un atteggiamento di tolleranza pragmatica.

Da un lato condanna l’“ingerenza americana” e accusa Washington di alimentare il conflitto, dall’altro evita escalation dirette. Pechino sostiene Mosca, soprattutto sul piano economico e tecnologico, fornendo accesso a mercati e beni a doppio uso. Parallelamente, sfrutta la narrativa anti-americana per rafforzare la propria immagine nel Sud globale, presentandosi come attore “pacificatore” contrapposto all’Occidente.

Uno scenario più teso si configurerebbe nel caso vi fosse l’ingresso ufficiale di consiglieri militari statunitensi, l’istituzione di una no-fly zone o la presenza di forze speciali occidentali in Ucraina. In quel caso la Cina reagirebbe con una intensificazione della retorica anti-Usa e con un sostegno più esplicito alla Russia. In questo scenario Pechino rafforzerebbe la cooperazione militare indiretta con Mosca (esercitazioni, intelligence, tecnologie sensibili), senza però rischiare un coinvolgimento diretto che la metterebbe in rotta di collisione con la Nato.

La strategia

La sua strategia resterebbe quella di sostenere Mosca senza oltrepassare la soglia di guerra aperta. Il caso più estremo sarebbe un confronto militare diretto fra truppe statunitensi e russe. Qui la Cina si troverebbe davanti a un bivio: sostenere apertamente Mosca o restare neutrale. La scelta più plausibile sarebbe quella di schierarsi politicamente con la Russia, accusando Washington di aggressione e di intensificare il sostegno economico e logistico, ma non troppo, il miglior cliente, allo stato attuale, resta lo Zio Sam.

Pechino eviterebbe con ogni mezzo di inviare truppe e sfrutterebbe la distrazione americana per rafforzare la propria proiezione in Asia: maggiore pressione su Taiwan, più attività nel Mar Cinese Meridionale, consolidamento di alleanze regionali. In un eventuale conflitto globale la Cina cercherebbe di trasformarsi nel vero arbitro geopolitico, beneficiando dell’indebolimento reciproco di Russia e Stati Uniti. In sintesi si può affermare che la Cina non ha interesse a entrare in guerra al fianco della Russia, la sua priorità rimane la crescita economica e la stabilità interna.

Un intervento più deciso degli Stati Uniti in Ucraina la spingerebbe certamente a sostenere Mosca con più decisione, ma sempre entro i limiti della guerra indiretta. In ultima analisi, Pechino cercherebbe di trarre vantaggio strategico dalla crisi, rafforzando la propria influenza globale e aprendo nuovi spazi di manovra in Asia. La sua postura rimarrebbe quella di un attore pragmatico: solidale con la Russia ma interessato soprattutto a consolidare la propria posizione nel nuovo ordine mondiale.

L’articolo La Russia nell’ombra del dragone favorisce solo due egemonie, Cina e Stati Uniti è tratto da Forbes Italia.