24 Luglio 2025

Jesse Eisenberg e il cinema della memoria: un viaggio personale e artistico

Attore, scrittore e produttore, Jesse Eisenberg vive a New York e si definisce “eccentrico”. Ama viaggiare, specialmente in aereo, dove si sente meno solo nella sua ansia: TTra persone normali mi sento strano”. Non ama le vacanze nel senso tradizionale: “Mi sento in colpa. Faccio un lavoro da sogno. E quando mi fermo troppo a lungo ho la sensazione di sprecarlo. Stare seduto al mare a non fare nulla mi mette a disagio”. Per questo le sue vacanze diventano viaggi di senso, spesso legati alla storia e alla memoria.

Nel suo ultimo film, The Real Pain, Eisenberg racconta il viaggio di due cugini ebrei americani – lui stesso e Kieran Culkin – in Polonia, sulle tracce delle loro radici, tra campi di concentramento e riflessioni familiari. Il film, presentato con successo al Sundance e al New York Film Festival, è stato prodotto da Emma Stone e dal marito con la loro casa di produzione Fruit Tree. “L’ultima vacanza vera? In Austria, per visitare un campo di concentramento. Poi in Romania, con mia moglie e mio figlio, per raccontargli la rivoluzione contro Ceausescu, senza mostrare la violenza, ma spiegandogli cosa significa vivere sotto una dittatura. Bucarest è stata una scoperta”.

Un possibile sequel di The Real Pain è in ballo, ma niente è ancora confermato. Intanto, Eisenberg si gode il successo di una sceneggiatura che gli è valsa i premi ai Bafta e agli Independent Spirit Awards.

Chi è Jesse Eisenberg, tra cinema, attivismo e scrittura

Nato ad Astoria, nel Queens, e cresciuto nel New Jersey, Jesse Eisenberg proviene da una famiglia di attivisti: la madre è insegnante di sensibilità multiculturale e regista, il padre da tassista è diventato professore di sociologia. Anche le sue sorelle, Hallie e Kerry, hanno lavorato da bambine nello spettacolo. Cresciuto in una famiglia ebraica con radici polacche, Jesse ha iniziato a recitare a teatro a soli sette anni. Non amava la scuola, troppo preso dal lavoro sui set, ma ha poi studiato arti liberali a The New School, concentrandosi su democrazia e pluralismo culturale. A 16 anni vendeva già sceneggiature.

Tra i suoi ruoli più noti: Mark Zuckerberg in The Social Network, protagonista in Now You See Me (al terzo capitolo nel 2025), e Lex Luthor nei film DC. Ha doppiato anche i film d’animazione Rio e Rio 2. Ma The Real Pain è forse il progetto a lui più caro, autobiografico e intimo. Nel 2025 ha prodotto Secret Mall Apartment, documentario su un gruppo di ragazzi che visse segretamente in un centro commerciale. Attualmente, è al lavoro su una commedia musicale con Julianne Moore e Paul Giamatti.

L’intervista

Come è nata la storia di The Real Pain?

Quando scrivo ho come delle voci che parlano dentro dei me, quelle dei miei personaggi. Mi sono lasciato ispirare da un viaggio. Quando nel 2008 io e mia moglie siamo andati nei posti che si vedono nel film, compresa la casa che vedete nella scena finale tra me e Kieran Culkin, che era proprio l’abitazione reale della mia famiglia. Quando tornai a New York questa esperienza lasciò un segno tale in me che scrissi un pezzo teatrale che venne messo in scena in Polonia. Parlava di un ragazzo di una famiglia privilegiata che andava a trovare suo cugino che era in una situazione difficile e complicata e per cui le cose, al contrario suo, non erano tanto facili. Dopo scrissi un altro pezzo teatrale chiamato The Spoils. E, allora, mi resi conto che questi due caratteri si stavano sviluppando sempre più dentro di me. Scrissi un racconto breve su di loro, ma li feci finire in Mongolia, dove mi resi conto che non avevano uno scopo. E, poi, paradossalmente, lanciando un’occhiata a Internet – che raramente guardo – vidi questi tours per americani sui luoghi dell’Olocausto. Avevo finalmente trovato la loro storia. Stavo ascoltando Chopin in quel momento e il ritmo della sua musica mi aiutò a mettere insieme le scene.

The Real Pain parla, infatti, della relazione tra due cugini, lei e Kieran Culkin, che vanno in Polonia alla ricerca delle proprie radici. Corre una forte energia tra voi, tra momenti divertenti e altri più drammatici…

Kieran è una sorta di genio e il suo personaggio è imprevedibile, ha sbalzi di emozioni. Il carattere del personaggio che interpreto io è più introverso, come me. I nostri personaggi ci assomigliavano e questo penso abbia reso tutto più vero e autentico, anche se la storia non è ispirata a personaggi reali. Di certo riguarda a me, perché le mie origini sono ebree-polacche e sono fiero di avere ricevuto ora anche la cittadinanza polacca. In realtà, in principio, stavo pensando di non recitare in questo film, ma di dirigerlo soltanto. Ma, poi, Emma Stone che è produttrice, mi ha detto che dovevo essere di fronte alla telecamera, perché quel ruolo ero io.

Emma Stone ha prodotto il film, come anche il suo primo film da regista Quando avrai finito di salvare il mondo, con Julianne Moore. Insieme avevate recitato in Zombieland, del 2009, il film che le diede il successo commerciale. È da tempo che vi conoscete…

Con Emma siamo molto amici e sono veramente grato che mi abbia dato fiducia. Spero che lavoreremo ancora insieme. Mi trovo davvero bene pure con suo marito, Dave McCary, che è stato a lungo lo scrittore dello show Saturday Night Live. Con la loro compagnia di produzione vogliono dare voce a storie interessanti e, essendo le mie sceneggiature di solito originali e un po’ fuori dall’ordinario come me, sono loro subito piaciute.

In The Real Pain affronta anche momenti drammatici che portano a riflettere sul passato oscuro e la storia che non si deve dimenticare.

Si esplora la storia dell’Olocausto, ma soprattutto le ripercussioni che ha lasciato e ancora lascia sulle nuove generazioni, il suo impatto sugli individui e le famiglie dei sopravvissuti e la necessità di questi di conoscere la verità, di ripercorrere un viaggio su quei luoghi di vero dolore, lo stesso che molti si portano ancora dentro. Ho voluto per questo raccontare questa storia nel modo più realistico possibile.

Lei ha raccontato che parte della sua famiglia emigrò negli Stati Uniti nel 1918, mentre altri parenti rimasero in Europa e furono uccisi nei campi di concentramento, tranne una sola sopravvissuta..

Fin da bambino sono stato segnato dalla sofferenza dei miei familiari, ero un bambino molto triste e sensibile. Mi sono sentito strettamente connesso da sempre al loro dolore, a questo dolore che continua a essere anche il mio. Ho di continuo avvertito un forte senso di responsabilità, perché tutte le mie azioni avessero un significato profondo, essendo stato io molto più fortunato di loro.

Come ha deciso di fare questo lavoro?

È stata una decisione normale, mi ci sono trovato praticamente dentro. Ero un artista. Per me mettere in scena e raccontare storie era una necessità. Per questo cerco di fare film che vadano al di là della superficialità delle sole risate, ma che portino a riflettere.

Lei ha interpretato Mark Zuckerberg in The Social Network, ma non ama i social media e comparire troppo in pubblico.

Con il mio lavoro ci ho fatto l’abitudine, ma non mi sento mai del tutto a mio agio. C’è sempre una certa dose di nervosismo. Per quanto riguarda i social media, ne sono ancora quasi terrorizzato. Sto poco su internet e ci vado solo se la curiosità prende il sopravvento. Confesso di aver fatto qualche ricerca su Google per vedere se avevo qualche chance di vincere premi questa volta. Però, in generale, preferisco vivere nella mia “bolla”. Non mi piace nemmeno guardarmi nei miei film, e ormai non ricordo nemmeno l’ultima volta che l’ho fatto. Qualcuno potrebbe pensare che sia un po’ nevrotico, ma molti attori fanno così: preferiscono evitare di vedersi. I personaggi che interpretiamo esistono solo nel tempo di quella storia, ma non siamo noi davvero.

L’articolo Jesse Eisenberg e il cinema della memoria: un viaggio personale e artistico è tratto da Forbes Italia.