18 Settembre 2025

Il Sud Italia da periferia a motore strategico per il Paese

Il Sud può diventare centrale nei percorsi di sviluppo del sistema economico e sociale del Paese? Costruire una valida alternativa all’inerzia del ‘no studio no lavoro’ dei Neet o alla fuga all’estero? Forse, con Catania, Napoli, Bari, Lecce, Palermo che diventano un vero e proprio pentagono dell’innovazione e della sostenibilità nei processi d’impresa. I presupposti ci sono, e per una volta anche le visioni chiare: come quella che parte da Messina con Roberto Ruggeri e il suo Sud Innovation Summit.

Napoli, Bari, la Sicilia, ma non solo. Sembra che nel Sud del Paese stia soffiando un vento nuovo: più idee, più innovazione, più imprese. È così?

Sì, ed è un fatto misurabile. Negli ultimi dieci anni, il numero di startup innovative in Italia è più che raddoppiato (+111%). Nel Sud, però, la crescita è stata ancora più rilevante: intro al +160%. Alcune regioni hanno segnato record nazionali: la Campania con un +330%, per non parlare del Molise che, come dire, si sta risvegliando adesso e incide abbastanza (con un +250%). Questi numeri raccontano un cambiamento strutturale, non più episodi che possiamo considerare isolati. Al netto poi delle percentuali di crescita, è anche cambio di mentalità che le accompagna. Le startup del Mezzogiorno non crescono “nonostante” le difficoltà del Sud (perché ogni tanto ancora sento questa narrativa), ma crescono sempre più spesso “grazie” al Sud: alla specificità del contesto, con i suoi vincoli e le sue sfide, riescono a stimolare soluzioni nuove. Pensiamo all’AI applicata ai servizi pubblici, al clean-tech in contesti urbani complessi, all’agritech che trova nel Sud condizioni uniche di sperimentazione. In questi settori il Mezzogiorno non solo testa nuove soluzioni, ma produce anche know-how esportabile, diventando un ponte naturale tra Europa e Mediterraneo. Non si tratta quindi semplicemente di eccezioni isolate: il Sud sta emergendo come una piattaforma di innovazione che può generare modelli replicabili anche a livello internazionale e diventare un asset strategico per il Paese. È questo che dobbiamo cercare di rappresentare in maniera appropriata. I dati confermano che, se si investe nel futuro, il Sud risponde. Per questo serve un cambio di mindset radicale, ovvero smettere di considerare le startup meridionali come eccezioni fortunate e iniziare a riconoscerle come parte integrante di una strategia nazionale di innovazione.

Serve un progetto per sostenere queste ambizioni – forse politico, ma soprattutto fatto di persone e interpreti di questa nuova economia. Ci sono questi personaggi?

Il problema probabilmente è che non c’è una regia in questo momento. Difatti, quello che secondo me serve, più che dei personaggi, che poi chiaramente sono un front-end di un qualcosa e che sono anche sono necessari, è piuttosto una regia strutturata che permetta anche di guardare al “Sud del Sud”, al Mediterraneo, affinché la Sicilia possa diventare con il Sud ponte verso il Mediterraneo.

Su quali settori è fondamentale puntare, e quali strumenti servono per accelerare?

Diciamo che i bisogni sono universali: energia sostenibile, acqua, salute, digitale. Il vantaggio competitivo però nasce dal saperli affrontare in contesti complessi. Quindi diciamo che il Sud, con le sue fragilità e le sue risorse, è un banco di prova capace di generare innovazioni pronte a scalare. Se il contest è semplice, probabilmente non riesci ad avere il Product-Market fit o il Service-Market fit necessario per comprendere se la soluzione o prodotto o servizio che sia è in effetti adeguato. Se un’innovazione agricola resiste in Sicilia, tra scarsità idrica, frammentazione fondiaria e logistica difficile, può essere un banco di prova per il Nord Africa e il Medio Oriente. Stesso modo si può dire che se un’applicazione di intelligenza artificiale semplifica la burocrazia in una grande città del Sud, penso a Napoli, può funzionare evidentemente da tutte le parti. Per questo bisogna puntare un po’ a questi tipi di settori, quindi su energie sostenibili, agritech e gestione idrica, biotech, digitale e AI, senza dimenticare un settore che seppur “fondante” per l’economia, come il travel, deve un po’ rispecchiarsi nei modelli per rimanere patrimonio culturale italico, che poi l’Italia è conosciuta nel mondo per quello. Gli strumenti per accelerare non sono semplicemente tecnologici, ma culturali e relazionali. Servono ecosistemi di fiducia, accesso equo ai capitali, e soprattutto spazi condivisi dove far nascere idee, percorsi di adozione rapida per PMI e pubbliche amministrazioni, e la capacità di trasformare la diaspora in un asset strategico. Ad esempio, su Messina è un po’ che chiedo al sindaco dal basso del mio ruolo di esperto del sindaco che ci serve un ruolo di aggregazione affinché le quattro menti illuminate che abbiamo possano tra di loro conversare. Chiaramente per rendere questo racconto credibile dobbiamo affrontare un po’ di contraddizioni. Il Sud è una delle aree più giovani d’Italia, eppure i dati del Neet parlano chiaro: Catania (42%), Palermo (39,8%), Napoli (37,3%), Messina (33,7%), insieme ad altri capoluoghi meridionali, guidano la classifica nazionale. È un’emergenza sociale, da un lato, ma dove c’è un problema, come al solito io vedo anche un’opportunità, e quindi una leva potenziale per trasformare questa energia sospesa in opportunità, chiaramente serve formazione, role model, esperienze concrete da cui lasciarsi ispirare. Accanto a questo, c’è il solito capitale umano spesso sottovalutato, che è quello della diaspora. Se noi guardiamo tra il 2019 e il 2023, abbiamo tanti giovani che hanno lasciato l’Italia, ma nello stesso periodo tanti giovani anche grazie alle misure governative stanno rientrando – il ritorno dei cervelli. E quindi stanno riportando indietro competenze acquisite all’estero. Quindi diciamo che il saldo complessivo della mobilità italiana è stato negativo, ma dentro questo dato si nasconde un potenziale, tra espatriati e ritornati a casa. Tante volte diciamo che trattenere chi parte, in realtà dobbiamo trasformare la mobilità in risorsa, collegando chi torna e chi resta con comunità locali e network internazionali. Noi dobbiamo trasformare la fragilità in un vantaggio competitivo, facendo del Sud un laboratorio del futuro.

Il Sud Innovation Summit – e quindi Messina – potrebbe essere o è già un luogo di riferimento. Com’è strutturato?

Il Sud Innovation Summit nasce come piattaforma per connettere l’ecosistema dell’innovazione meridionale, ma è diventato molto più di un semplice appuntamento annuale: credo di poter dire di aver visto un’infrastruttura mancante che fosse un po’ on top agli stakeholder esistenti che sono molto frammentati. E quindi il Summit è un’infrastruttura che esiste per far dialogare startup, investitori e istituzioni che prima faticavano ad avere punti di contatto. Il progetto si articola attorno a tre componenti: il Summit vero e proprio, con due giornate in cui ci raccontiamo il Sud e ci raccontiamo il futuro. Il tutto da Sud, al Sud, cosa che spesso avviene a Milano ma poco spesso da Roma in giù. Giornate plenarie, sale verticali e workshop dedicati all’applicazione concreta dell’AI nei settori chiave dell’economia e della società; e ancora, competizione di startup, Sud Innovation Champions. E infine abbiamo il Rapporto 2025, con cui ci proponiamo di misurare la competitività innovativa del Sud su base europea, con un focus specifico sull’attrazione/attrattività. La forza del Summit non risiede solo nei numeri o nella partecipazione di leader nazionali e internazionali, ma è un’infrastruttura culturale e relazionale che lavora tutto l’anno e che è diventata un punto di convergenza del sistema innovazione Sud Italia.

Ne abbiamo accennato, quando parliamo di Sud andiamo oltre: al Mediterraneo.

Il Sud di base, ma anche storicamente, è stato sempre un po’ crocevia per le rotte del Mediterraneo, noi siamo al centro e quindi colleghiamo Europa, Africa e Medio Oriente: siamo uno snodo naturale per traffici commerciali, cavi digitali e flussi energetici. Quindi possiamo anche essere uno spazio digitale, anche grazie a cavi sottomarini, porti e piattaforme logistiche che ne fanno un’infrastruttura globale. La sua storia di incontri tra civiltà – greca, araba, normanna, bizantina, spagnola – ha creato un terreno fertile per costruire dei ponti culturali in un’area geopolitica complessa e un mondo frammentato come il nostro, specie di questi tempi, questa capacità di dialogo è un valore assolutamente strategico e deve essere replicabile. Quindi università e centri di ricerca di città come Catania, Bari, Napoli, Lecce e Palermo, Messina stessa, attraggono studenti e studiosi da tutto il bacino mediterraneo, e le startup locali posso sperimentare su temi di frontiera: dall’AI etica alla blockchain per la tracciabilità agroalimentare, fino alla green port logistics. Quindi il concetto di comunità non è solo astratto, ma è una vera e propria infrastruttura sociale, connessa a reti globali, che può trasformarsi in vantaggio competitivo. Troppo spesso il Sud viene raccontato in termini di ritardo da recuperare, siamo indietro. In realtà, io credo che oggi la vera sfida oggi non sia colmare un gap, ma trasformare gli asset in un modello con una regia condivisa che faccia poi diventare il Sud come standard per il Mediterraneo, al punto che un investitore non dovrà chiedersi se guardare al Sud per investire perché c’è un’opportunità inespressa, ma piuttosto deve guardare e bene per non restarne escluso. Perché poi i deal belli devi conquistarteli. Gli asset quindi ci sono già; serve un lavoro sistemico e dobbiamo trasformare questo Sud in una posizione stabile e riconosciuta, punto di riferimento che guardi appunto non solo alla nazione, ma più al Mediterraneo e più in generale al mondo. Quindi diciamo che i presupposti ci sono.

L’articolo Il Sud Italia da periferia a motore strategico per il Paese è tratto da Forbes Italia.