I cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 chili di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11. La moda, oggi più che mai, è diventata sinonimo di eccesso. Eppure, proprio in questo mondo iper produttivo, c’è chi ha scelto di fermarsi, guardare oltre e immaginare un futuro diverso. “Oggi più che mai la moda deve farsi portatrice di una rivoluzione”, afferma con forza Claudia Pievani, founder di Miomojo, una delle rarissime B corp del fashion mondiale. “Un gesto di partecipazione, perché ciascuno può fare la differenza con le proprie scelte”.
Dalla coscienza alla passerella: Miomojo, il lusso cruelty-free made in Italy
Sostenibilità, bellezza e consapevolezza: sono queste le parole chiave che guidano ogni decisione all’interno dell’azienda bergamasca, specializzata in borse e accessori cruelty-free, realizzati con materiali innovativi e vegani, rigorosamente made in Italy. Ma la vera rivoluzione di Miomojo non si limita al prodotto: è un’idea di moda come atto etico, un invito a scegliere meno, scegliere meglio.
Claudia Pievani è cresciuta in Lombardia, ma ha formato il suo spirito imprenditoriale oltre confine, con una laurea in lingue ed economia in Germania e un Mba alla Sda Bocconi. Dopo anni come export manager nel settore degli accessori moda, ha scelto di cambiare rotta. Non per moda, ma per coscienza. “Sono vegetariana da quando avevo dieci anni”, racconta. “Non c’è stato un evento scatenante, solo un amore profondo e innato per gli animali. Mi facevano pena, anche i polipi. Sapevo che la loro cattura era crudele: li attirano con dei coni di plastica che somigliano a tane, loro li decorano con conchiglie, e poi vengono tirati su e uccisi. Un inganno crudele. Gli animali non ingannano. Lo fanno solo per sopravvivere. Noi no”.
L’attivismo gentile e radicale che non segue le mode ma guida il cambiamento
Questa empatia radicale ha guidato ogni passo successivo. “All’inizio portavo ancora borse di pelle, magari firmate. Ma poi mi sono chiesta: posso davvero chiamare ‘bello’ un oggetto che nasce da una sofferenza così grande?”. Miomojo oggi è un brand attivista. Non solo perché devolve il 10% del fatturato a cause ambientali e animaliste, ma perché costruisce vere e proprie partnership, sviluppa progetti comuni, agisce. “Con Sea Shepherd, per esempio, abbiamo realizzato una limited edition con nylon recuperato dalle reti fantasma. Il ricavato sostiene un progetto per la tutela dei polipi nel Mediterraneo. Con loro siamo saliti anche su una delle navi: un’emozione fortissima”. E non è l’unico esempio. Dalla collaborazione con Animal Asia a quella con Mercy for animals e Four paws, fino al lavoro con l’Associazione italiana persone Down, che ha portato in azienda una giovane collaboratrice con sindrome di Down, Miomojo è un ecosistema di relazioni significative. “È uno scambio continuo, un’esperienza di crescita reciproca”, spiega Pievani.
Poi c’è Humana people to people, a cui sono stati donati migliaia di prodotti invenduti: “Ogni secondo, un camion di abiti finisce in discarica. Noi vogliamo evitare lo spreco a monte, ma qualcosa resta sempre. Humana li vende nei suoi negozi e il ricavato, circa 80mila euro, finanzia rimboschimenti e progetti sociali in Italia e Africa”. La cifra estetica di Mjomojo è l’essenziale. Linee pulite, colori sobri, stile timeless. “La bellezza per me non è solo estetica. È anche ciò che accade dietro il prodotto. Un oggetto è bello se è stato realizzato senza crudeltà. Altrimenti, anche il design più raffinato perde valore”.
Per questo l’azienda rifiuta le logiche delle tendenze. “I nostri prodotti non seguono le mode. Devono durare. Lo stile minimal è universale, parla a ogni età, a ogni genere. E poi, oggi abbiamo materiali next-gen straordinari: dalle mele all’uva, fino al micelio. È un mondo affascinante, e innovare è diventato anche cool”.
Funghi, uva e second hand: il coraggio di cambiare rotta di Miomojo
L’ironia non manca: “Oggi forse è più trendy dire che la tua borsa è fatta da funghi piuttosto che da pelle animale. Anche chi non ha motivazioni etiche, se si avvicina a noi per la qualità o il design, per noi è già un successo. L’importante è il cambiamento”. La crisi del settore moda, soprattutto dopo la pandemia, ha spinto Miomojo ad allargare lo sguardo. “Il 2024 è iniziato male per tutti. Ma forse è giusto così. È un sistema obsoleto, inquinante. Noi stiamo cercando nuove strade: collaborazioni con il mondo dello sport, dell’automotive, e anche con le cantine. Abbiamo un materiale derivato dall’uva, e alcune aziende vinicole sono già molto attente alla sostenibilità”.
L’Italia è tornata a essere il primo mercato per l’e-commerce dell’azienda, superando Germania e Stati Uniti. “Il consumatore consapevole è in crescita. Quando avrà bisogno di comprare una borsa, lo farà scegliendo qualcosa che rispecchi i suoi valori. Noi vogliamo arrivare anche a chi ama il design prima ancora della sostenibilità. Così allarghiamo l’impatto”. Dietro ogni scelta, c’è l’ossigeno di una visione chiara. “Chi lavora con noi ha voglia di contribuire a qualcosa che vada oltre il business. Sappiamo che quello che facciamo ha un senso profondo, e questo ci dà la forza di andare avanti”.
Claudia Pievani non ha paura di perdere clienti o follower. “Preferisco avere un pubblico più ristretto, ma consapevole. E oggi sento di essere finalmente allineata con ciò in cui credo. Questo è il mio vero successo”. Alla fine dell’intervista, c’è spazio anche per un’ultima riflessione sul riuso. “Capisco chi oggi compra second hand. Anch’io compro pochissimo, davvero. Abbiamo vestiti per sette generazioni. Dobbiamo solo rallentare. Fermarci. E scegliere con coscienza”.
L’articolo Etica, design e materiali del futuro: così Miomojo vuole guidare la rivoluzione gentile della moda è tratto da Forbes Italia.