14 Maggio 2025

Ecco sei vini italiani contemporanei che raccontano il territorio

Nel panorama enologico italiano si assiste a un ritorno di fiamma per le uve autoctone, considerate oggi non solo eredi di un’importante tradizione, ma anche protagoniste di un rinnovamento stilistico che guarda al futuro. Il consumatore contemporaneo, in Italia come all’estero, cerca vini dotati di originalità, di una storia da raccontare e di un profilo gustativo che sia accattivante, fresco, ricco di energia. In questo contesto, l’acidità slanciata e la bevibilità sono diventate parole d’ordine, elementi chiave per interpretare quella che molti definiscono la “nuova via” del vino italiano.

Ecco sei nomi che incarnano questa rivoluzione, vera e propria sintesi tra tradizione e innovazione: Curtomartino, Feudo Maccari, Borgo Paglianetto, Lungarotti, Joacquin e Maugeri. Ognuno di questi produttori racconta un territorio, una filosofia produttiva e un amore per le uve locali, senza però rinunciare a un’impronta moderna.

Il nuovo corso del vino italiano e il valore dell’autoctono

La scena vinicola italiana ha una ricchezza varietale unica al mondo: esistono centinaia di vitigni autoctoni, spesso poco conosciuti fuori dalle rispettive regioni. Negli ultimi decenni, l’enologia si è progressivamente aperta ai grandi vitigni internazionali – Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay – e per un certo periodo ha prevalso l’idea che per competere a livello globale fosse necessario conformarsi a questi standard internazionali.

Oggi, tuttavia, si assiste a un’inversione di tendenza. I produttori più all’avanguardia (o forse più legati in modo intelligente alla tradizione) stanno riscoprendo varietà antiche, puntando sulle peculiarità che rendono unici i propri vini. Ciò significa approfondire le caratteristiche dei terroir di provenienza, sperimentare tecniche di vinificazione che preservino acidità e fragranza, e proporre al mercato etichette riconoscibili e autentiche.

Questo cambio di prospettiva ha portato a privilegiare la freschezza e l’eleganza a scapito di vini iper-concentrati e segnati eccessivamente dal legno. Si parla di “acidità slanciata” per indicare quei profili gustativi verticali, capaci di allungarsi al palato e di lasciare la bocca pulita e pronta al sorso successivo. È una caratteristica che rende i vini più versatili (anche in ambito vegan, dove le tendenze culinarie prediligono ingredienti vegetali freschi e saporiti) e che incontra il gusto di un pubblico giovane e attento alla qualità.

Curtomartino – Selce e Terracava

Curtomartino è un nome che si sta facendo strada tra gli appassionati di vini pugliesi di taglio contemporaneo. L’azienda si concentra su produzioni curate nel dettaglio e la valorizzazione della denominazione Gioia del Colle Doc, ricercando il perfetto equilibrio tra le potenzialità del territorio e la volontà di offrire vini che sappiano sorprendere per carattere e finezza.

Selce

Selce nasce dall’idea di valorizzare un possibile blend di varietà a bacca bianca autoctone e/o tradizionalmente coltivate in Puglia (Fiano pugliese, Bombino Bianco o Malvasia Bianca). I terreni, ricchi di scheletro e componenti minerali, sono in grado di esaltare la freschezza e la salinità del vino. Al naso si colgono toni di fiori bianchi, agrumi e una leggera nota di macchia mediterranea. In bocca, l’acidità slanciata dona un sorso agile e dinamico, con un finale talcato e asciutto. In questo senso, Selce rispecchia pienamente il trend dei bianchi contemporanei pugliesi, che mirano a coniugare generosità aromatica e bevibilità.

Generalmente, Selce si trova a scaffale in un range che va dai 15 ai 20 euro, posizionandosi come una scelta di valore per chi cerca un bianco di qualità, lontano da eccessi di pesantezza. Pur essendo relativamente nuovo sul mercato, “Selce” ha guadagnato l’attenzione di chi segue i vini pugliesi d’avanguardia. È un esempio di come la Puglia non sia soltanto terra di rossi importanti, ma possa esprimere bianchi dal profilo moderno e accattivante.

Terracava

Terracava rappresenta invece l’anima rossa di Curtomartino. In Puglia, le uve principali sono Nero di Troia, Primitivo o un blend di varietà locali, in questo caso Terracava è 100% Primitivo con un approccio leggiadro. Il nome “Terracava” richiama la natura profonda e calcarea dei suoli, che conferiscono struttura e mineralità al vino.

Al naso si percepiscono sentori di frutta rossa matura, prugna e ciliegia, insieme a cenni speziati e balsamici. L’acidità, pur presente, è armonizzata con la morbidezza del frutto, dando vita a un sorso succoso e avvolgente. I tannini sono fini e ben integrati, segno di un lavoro attento sia in vigna che in cantina. Terracava si posiziona leggermente più in alto rispetto a Selce, con un range di 25-30 euro a scaffale.

È considerato un rosso importante per la Puglia contemporanea, un riferimento per chi desidera scoprire vini regionali con un taglio internazionale ma ben ancorato alla tradizione autoctona. Sempre più riconosciuto dagli appassionati e dalla critica, Terracava riflette una visione moderna del rosso pugliese: potente ma non pesante, ricco di sfumature e con uno stile che guarda a una beva più agile, grazie a un’acidità bilanciata.

Feudo Maccari – Family & Friends

Ci spostiamo in Sicilia, dove Feudo Maccari, in zona Noto, ha costruito una reputazione di rilievo soprattutto grazie alla valorizzazione dei vitigni autoctoni. Il Grillo, antico bianco siciliano, è un’uva che negli ultimi anni ha riscosso un grande successo, specie tra coloro che amano i bianchi dotati di carattere e potenzialità evolutive.

Family & Friends è un bianco prodotto dal vitigno Grillo, coltivato nella parte sud-orientale dell’isola, dove i terreni calcarei e il clima caldo, ma ventilato, contribuiscono a concentrare aromi e a mantenere comunque una bella freschezza. Al naso si avverte la ricchezza del Grillo, con note di agrumi, erbe aromatiche e un leggero sottofondo di frutta esotica. In bocca, la spinta acida rende il sorso teso ma avvolgente, con un finale netto che ne facilita la bevibilità. È un bianco che può soddisfare anche il pubblico più esigente, grazie alla sua stratificazione aromatica.

A scaffale oscilla tra i 35 e i 45 euro, talvolta anche di più, in base alla disponibilità. Il posizionamento in una fascia medio-alta è coerente con la filosofia di Feudo Maccari, che punta a una qualità eccellente e a un’interpretazione autorevole del Grillo. Family & Friends è considerato un piccolo classico contemporaneo tra i bianchi siciliani. L’impronta del vitigno autoctono e la tensione acida tipica del nuovo corso enologico isolano ne fanno un’etichetta iconica, ambita dagli appassionati e dai collezionisti.

Borgo Paglianetto – Vertis

Vertis 2022 è l’espressione più alta di Borgo di Paglianetto, azienda biologica fondata nel 2008 a Matelica, che oggi coltiva 29 ettari divisi tra linea base, riserva e cuvée esclusivamente in acciaio, con il legno riservato al solo Montepulciano.

Vertis nasce da vigneti ventennali esposti a sud, su suoli argillo-calcarei, con raccolta tardiva e rese contenute. Dopo pressatura soffice e lunga sosta in inox (15 mesi più 4 in bottiglia), il vino assume corpo e precisione senza sacrificare freschezza.

Nell’annata 2022 – la quindicesima vendemmia celebrativa, con 20.000 bottiglie a circa 20 euro – il profilo è luminoso e slanciato: agrumi, fieno, note speziate al naso; bocca densa, glicerica, bilanciata da una spinta acida verticale e da un finale salino. Riconosciuto con Tre Bicchieri e Top Wine 2025, Vertis incarna con rigore e modernità la vocazione del Verdicchio di Matelica.

Lungarotti – Torre di Giano

Torre di Giano “62” è l’esempio concreto del percorso di alleggerimento stilistico intrapreso da Lungarotti, punta di diamante dell’Umbria, che punta a vini bianchi più snelli, allungati, capaci di slanciarsi al palato senza perdere identità. Tutto comincia in vigna: i filari più ventilati della tenuta di Torgiano, su suoli argillosi e scheletrici, sono stati selezionati per un Trebbiano di nervo citrino e un Grechetto che dona volume senza appesantire. Una vendemmia anticipata contribuisce a preservare acidità e tensione.

In cantina, si lavora esclusivamente con mosto fiore e si adotta un affinamento sulle fecce fini molto più lungo del passato, a bassa temperatura e con bâtonnage appena accennati. Il risultato è un vino che ha materia, ma senza perdere linearità: il centro bocca è rotondo, ma il sorso si distende in verticale, chiudendo con una scia acido-sapida precisa e pulita.

Il packaging racconta lo stesso intento: una bottiglia in vetro verde antico riprende i primi imbottigliamenti Lungarotti degli anni Sessanta, mentre l’etichetta storica con la menzione “Umbria” e il rilievo della Fontana Maggiore di Perugia rafforza il legame con le radici.

Nel calice, Torre di Giano 62 unisce la classicità della denominazione a un’impronta moderna, regalando un bianco dal profilo sottile ma profondo, fresco, coerente, e oggi più che mai fedele alla visione territoriale da cui è nato oltre sessant’anni fa, con un prezzo a scaffale di circa 15 euro.

Joacquin – Vino della Stella

La Campania, e in particolare la zona dell’Irpinia, è celebre per i suoi bianchi di grande spessore. Il Fiano è uno dei vitigni più rappresentativi, capace di dare vini longevi, caratterizzati da profumi floreali e una spiccata vena minerale. Joacquin, con il suo Vino della Stella, si è imposto come produttore capace di offrire un’interpretazione raffinata e innovativa della denominazione. Siamo nel cuore dell’Irpinia, in areali collinari caratterizzati da suoli calcarei, argillosi e vulcanici. Il Fiano trova qui la sua culla di elezione.

Vino della Stella si presenta con sensazioni di fiori bianchi, agrumi, mandorla fresca e cenni di pietra focaia. Il palato è sostenuto da un’acidità netta, che rende il sorso lungo e persistente.

Ci si può attendere un costo a scaffale di 40 euro, posizionamento che riflette la cura nella selezione delle uve e la produzione di nicchia. Riconosciuto dagli esperti come un Fiano di riferimento, Vino della Stella incarna l’equilibrio tra potenza ed eleganza, grazie a una vena acida che lo rende un bianco “del domani”. Questo lo rende particolarmente apprezzato anche da chi predilige un consumo attento alla salute e all’ambiente, essendo il Fiano campano spesso vinificato con un occhio all’ecosostenibilità.

Maugeri – Frontebosco

Sull’Etna, uno dei territori più affascinanti per la viticoltura grazie al suolo vulcanico e all’altitudine che consentono di ottenere vini unici, nasce un vino estremamente aggraziato e denso. Maugeri Frontebosco è un bianco da Carricante, il vitigno simbolo del versante orientale dell’Etna. Il Carricante è un’uva autoctona etnea che dà vita a vini dalla marcata freschezza e dalla grande longevità. I terreni vulcanici, ricchi di minerali, incidono sul profilo gustativo, donando un timbro salino, affumicato e agrumato.

Frontebosco si presenta con aromi di agrumi gialli, fiori di ginestra e delicate nuances affumicate, tipiche del terroir etneo. In bocca, l’acidità vibrante è protagonista, accompagnata da una salinità che rende il sorso trascinante. Il finale risulta lungo, con richiami quasi salmastri. Con un costo a scaffale di 40-45 euro, Frontebosco rappresenta un’interessante combinazione tra alta qualità ed economicità relativa rispetto ad altri bianchi etnei di fascia più elevata.

Sempre più considerato un vino manifesto del nuovo corso dell’Etna bianca, Frontebosco è apprezzato per la sua identità definita, la bevibilità e il carattere vulcanico che lo rende riconoscibile e di forte personalità.

I punti di forza

L’analisi dei punti forti evidenzia come il posizionamento strategico di alcune etichette vinicole italiane sempre più iconiche, focalizzate sull’identità territoriale, la valorizzazione delle uve autoctone, l’acidità e la freschezza, ideali anche per il crescente mercato vegan. Questi vini si distinguono per un’elevata qualità produttiva e un forte storytelling legato al territorio d’origine. Tuttavia, presentano punti deboli legati al prezzo relativamente alto, alla disponibilità limitata e al rischio di trasformare la forte acidità in un semplice trend di moda. Le opportunità si trovano nell’aumentata attenzione globale verso autenticità e sostenibilità, nella crescita dell’enoturismo e negli abbinamenti con la cucina vegana. Al contrario, le minacce includono la concorrenza internazionale con stili simili, gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e possibili crisi economiche che potrebbero far preferire ai consumatori vini più economici.

La nuova enologia italiana sta riscoprendo la forza delle uve autoctone e dell’acidità come fattori chiave per proporre vini distintivi, longevi e al passo con i gusti del mercato odierno. Le realtà presentate – con Curtomartino che firma sia Selce sia Terracava, Feudo Maccari con il suo Grillo in Family & Friends, Joacquin con il suo Fiano Vino della Stella, Maugeri che propone un Carricante di razza in Frontebosco testimoniano la varietà e la ricchezza del patrimonio vitivinicolo italiano. Nonostante i prezzi a scaffale collocati nella fascia medio-alta, tali vini giustificano il costo grazie alla cura artigianale nella produzione, all’attenzione maniacale per la qualità e a una filosofia orientata al rispetto del terroir.

Sono considerati iconici poiché rappresentano in maniera efficace la sintesi tra passato e futuro: da un lato, la tradizione centenaria che ha plasmato le vigne e le uve; dall’altro, la ricerca di uno stile agile, fresco e moderno. I vini del domani sono esempi di come l’Italia intera possa rinnovarsi senza tradirsi, guardando al futuro con un bagaglio di cultura, storia e sapori che nessun altro Paese può vantare con la stessa intensità.

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L’articolo Ecco sei vini italiani contemporanei che raccontano il territorio è tratto da Forbes Italia.