1 Ottobre 2025

Daniel Ek lascia la carica di ceo di Spotify: la storia dell’uomo che ha cambiato l’industria musicale

“Negli ultimi anni ho delegato gran parte della gestione quotidiana e della direzione strategica di Spotify ad Alex [Norström] e Gustav [Söderström], che hanno dato forma all’azienda sin dall’inizio e ora sono più che pronti a guidare la prossima fase. Questo cambiamento non fa altro che adeguare i titoli a come già operiamo”. Così Daniel Ek ha commentato la scelta di abbandonare la carica di amministratore delegato di Spotify, l’azienda che ha fondato nel 2006.

Dal 1 gennaio Norström, attuale co-presidente e chief business officer, e Söderström, co-presidente e chief product and technology officer, diventeranno co-ceo. Ek sarà presidente esecutivo e, si legge in un comunicato, “si occuperà dell’allocazione del capitale, di tracciare il futuro a lungo termine di Spotify e di continuare a fornire supporto e guida agli alti dirigenti”.

La storia di Daniel Ek

Ek, nato nel 1983 a Stoccolma, cambia così ruolo nella principale piattaforma di streaming audio al mondo, con 696 milioni di utenti e 276 milioni di abbonati in 184 paesi. È l’ultima svolta di una carriera cominciata, ufficiosamente, da adolescente. “Ho cominciato quando avevo 14 anni, per puro caso”, ha raccontato Ek a Startups.com. “All’epoca ero un programmatore piuttosto abile con il linguaggio C++, o almeno così pensavo. Poi avevo imparato da solo a programmare in Html, che era molto di moda all’epoca. La gente del posto mi chiedeva di aiutarla a costruire la sua home page. Quella era la parola d’ordine. Tutti avevano bisogno di una home page”.

All’epoca, ha ricordato, le aziende chiedevano circa 50mila dollari per quel lavoro. Ek cominciò con 100. “La volta dopo quella persona tornava, oppure arrivava qualcun altro, e mi chiedeva: ‘Puoi creare una home page?’. E io rispondevo: ‘Sì, certo, fanno 200 dollari’. La cosa è continuata fino a quando sono arrivato a chiedere 5mila dollari per una home page”.

Per soddisfare tutte le richieste, Ek dovette cominciare ad assoldare assistenti tra i suoi coetanei. Li formava e li pagava con videogiochi, telefoni cellulari, iPod. Poiché il tempo da dedicare alla scuola diminuiva, ingaggiava anche altri ragazzi per fare i compiti al posto suo. Cresciuto in quella che ha definito “una famiglia svedese media, senza tanti soldi”, arrivò a guadagnare quasi 50mila dollari al mese. La madre e il patrigno si insospettirono quando cominciò a portare a casa grandi televisori e chitarre costosissime.

Le prime aziende

A 16 anni Ek fece domanda per lavorare a Google, ma dall’America gli risposero che, come minimo, doveva prima laurearsi. Ancora al liceo iniziò a lavorare per un’azienda di ottimizzazione per motori di ricerca chiamata Jajja. Come ha raccontato Forbes.com, usava lo stipendio per comprare server da dedicare al suo nuovo sogno: registrare tutti i programmi televisivi in contemporanea. I server nella sua stanza, ha scritto il giornalista Steven Bertoni, si scaldavano così tanto che, appena entrato, doveva levarsi tutti i vestiti.

Ek si iscrisse a ingegneria al Royal Institute of Technology, ma abbandonò dopo otto settimane, quando si rese conto che per tutto il primo anno avrebbe dovuto studiare soprattutto matematica teorica. Lavorò per l’e-commerce di prodotti sostenibili Tradera, poi comprato da eBay, e per Stardoll, un gioco online sulla moda. A 23 anni aveva già fondato e venduto una società di pubblicità online, AdVertigo. Per un breve periodo fu amministratore delegato di μTorrent, un programma per condividere e scaricare file ‘peer-to-peer’.

In pensione a 23 anni

Nel 2006 Ek era già abbastanza ricco da andare in pensione. Comprò una Ferrari Modena e un appartamento con tre camere da letto in centro a Stoccolma, cominciò a frequentare locali. E cadde in depressione. “Ero profondamente incerto su chi fossi e chi volessi essere”, ha detto a Forbes. “Pensavo davvero di voler essere un ragazzo molto più figo di quello che ero”. Si ritirò in un bosco a sud di Stoccolma, pensò di diventare musicista a tempo pieno (suona la chitarra, il basso, la batteria, il piano e l’armonica). Alla fine decise di unire i suoi due interessi principali. “Quando avevo cinque anni, mia mamma mi regalò una chitarra”, ha scritto su LinkedIn. “Quando ne avevo sei, ricevetti un computer. Spotify è il prodotto delle passioni di una vita”.

Si mise in società con Martin Lorentzon, un imprenditore che anni prima aveva comprato un suo programma per 1 milione di dollari. All’epoca l’industria musicale, che nel 1999 aveva raggiunto il record storico di ricavi, era in crisi a causa della diffusione della pirateria. “Mi resi conto che non si poteva eliminare la pirateria a forza di leggi”, ha detto al Telegraph nel 2020. “Le leggi possono senz’altro aiutare, ma non eliminano il problema. L’unico modo per risolverlo era creare un servizio che fosse migliore di quelli offerti dalla pirateria e, al tempo stesso, prevedesse un compenso per l’industria musicale. È così che siamo arrivati a Spotify”.

Il trionfo di Spotify

L’azienda è nata nel 2006, la piattaforma nel 2008. Proponeva un modello alternativo a quello di iTunes di Apple: non si doveva pagare per ogni canzone, ma attivare un abbonamento mensile per avere accesso illimitato a tutta la musica. Quanto alle royalties dei musicisti, Spotify calcola i loro compensi in base alla loro quota di mercato, cioè alla percentuale che le loro canzoni rappresentano rispetto al totale degli streaming. Un sistema che non piace a diversi artisti e che ha spinto alcuni di loro, tra cui Taylor Swift e Thom Yorke, a ritirare temporaneamente la loro musica dalla piattaforma.

In un’intervista a Music Ally, Ek ha replicato che “si tende a riportare le opinioni di chi è insoddisfatto. Ma, stando ai dati, non c’è dubbio che sempre più artisti riescano a vivere di quello che ricavano dallo streaming. C’è una falsa narrazione, unita al fatto che, ovviamente, alcuni artisti che hanno avuto successo in passato potrebbero non averne altrettanto nello scenario futuro, in cui non si potrà registrare musica una volta ogni tre o quattro anni e pensare che sia abbastanza. Oggi gli artisti che hanno successo capiscono che bisogna creare un coinvolgimento continuo con i fan”. Nemmeno questa spiegazione è piaciuta a tutti. Mike Mills dei R.E.M., per esempio, ha scritto su X: “Musica = prodotto da sfornare regolarmente, dice il miliardario Daniel Ek. Vai a farti fottere”.

Le altre attività di Daniel Ek

Spotify ha chiuso il 2024 con ricavi per 15,7 miliardi di euro e il primo utile della sua storia, da 1,1 miliardi. Ek è diventato, secondo una definizione dell’edizione americana di Forbes, “l’uomo più importante della musica”. Ha un patrimonio di 9,9 miliardi di dollari, che lo rende la settima persona più ricca della Svezia e la 315esima più ricca del mondo. Una somma legata anche ad altre attività. Nel 2018, per esempio, ha fondato l’azienda di tecnologie mediche Neko Health assieme all’ingegnere Hjalmar Nilsonne. Nel 2023 Neko ha presentato un sistema che usa sensori e intelligenza artificiale per l’analisi di dati sanitari.

Il principale investimento di Ek al di fuori di Spotify è anche il più controverso. Nel 2021 ha finanziato con 100 milioni di dollari Helsing, una startup tedesca di droni militari e sistemi di intelligenza artificiale per operazioni belliche. Pochi mesi fa, con la sua società di investimento Prima Materia, ha guidato una raccolta di capitali da 600 milioni. Nell’occasione ha detto che “[l’Europa ha] un urgente bisogno di investimenti in tecnologie avanzate per garantirsi autonomia strategica e preparazione a livello di sicurezza”. In un’intervista al Financial Times ha aggiunto di aspettarsi boicottaggi da parte di qualche musicista. Ha avuto ragione: alcuni artisti, tra cui i Massive Attack, hanno ritirato la loro musica da Spotify.

L’articolo Daniel Ek lascia la carica di ceo di Spotify: la storia dell’uomo che ha cambiato l’industria musicale è tratto da Forbes Italia.