13 Agosto 2025

Clelia Cafiero, la direttrice d’orchestra italiana che ha conquistato anche gli Stati Uniti

È una delle poche donne ad avere successo in un mondo quasi prettamente maschile. E, ora, è sbarcata anche in Usa. Clelia Cafiero è una delle più promettenti direttrici d’orchestra del momento. Ha cominciato la sua carriera musicale come pianista e concertista, dopo aver studiato pianoforte e direzione d’orchestra ai conservatori di Napoli e Milano e al Mozarteum a Salisburgo. Ha lavorato al Teatro alla Scala dal 2013 al 2019, esibendosi su alcuni dei maggiori palcoscenici mondiali come la Royal Albert Hall a Londra e la Philharmonie de Paris.

Si è imposta all’attenzione internazionale con il debutto, nel 2023, alla Chorégies d’Orange, quando ha diretto la “Carmen” con l’Orchestre National de Lyon. Dal 2022 al 2025 è direttore principale ospite all’Opera di Tours. Per la stagione 2025/2026 prevede di avere molti prestigiosi debutti operistici, tra cui alla Staatsoper di Berlino e all’Opera Australia a Melbourne. Finora ha inciso due dischi per Pentatone e San Francisco Classical Recording.

Dopo aver diretto all’Opéra de Paris anche il Don Carlos di Verdi, con un incredibile successo, a giugno è approdata negli Stati Uniti, dove ha debuttato, con altrettanto clamore di pubblico e critica, alla Cincinnati Opera per la Tosca di Puccini. Subito dopo ha diretto diversi concerti al Festival Napa Valley, con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco, tra cui quello di apertura con un programma che spazia da Rossini a Stravinsky e quello dedicato ad Ennio Morricone.

Come è nata la sua passione per la musica?

Il mio amore per la musica era evidente fin dall’infanzia. Ogni Natale, nella mia lista dei desideri, c’erano uno strumento musicale o dei CD. A cinque anni ero in grado di riprodurre delle melodie e crearne di nuove, senza avere mai seguito lezioni. Così, l’anno seguente i miei genitori mi iniziarono alle lezioni di piano. Scoprii che avevo l’orecchio assoluto e, in poco tempo, quello che era il mio gioco preferito divenne prima parte della mia crescita e, poi, la mia vita. Avevo solo dieci anni, quando ascoltando la pianista Martha Argerich suonare il concerto di Schumann, mi immaginavo in un grande teatro gremito di persone dirigendo l’orchestra.

Come ha deciso di diventare direttore d’orchestra?

Essere direttore inizia dall’essere musicista. Per me tutto parte dai tasti. Il processo di creazione comincia da uno studio che possiamo definire “solitario”, dove il dialogo con lo strumento crea qualcosa di unico e personale. Scoprendo la musica da camera e suonando in orchestra alla Scala ho avvertito quanto fosse entusiasmante condividere le mie idee con altri musicisti e creare un’interpretazione comune. Da lì al podio il passo è stato breve.

Come ha trovato un equilibrio tra suonare e dirigere?

Cerco di tenere in allenamento le mie dita per poter continuare a suonare e poter proporre concerti al piano con orchestra. Suonare e dirigere sono due sensazioni e attitudini differenti, ma ugualmente essenziali per un artista.

Cosa le piace di più nel suo lavoro?

Poter specchiarmi in una partitura e far uscire qualcosa di me nell’interpretazione che ne segue. Questo è prezioso. Nessuna intelligenza artificiale potrà mai riprodurre la stessa cosa.

Quali sono le maggiori difficoltà che ha mai riscontrato invece?

È sicuramente difficile trovare ogni volta un canale di comunicazione giusto con i musicisti che si hanno davanti. A seconda delle tradizioni, delle provenienze geografiche e dei temperamenti, ogni popolo – oppure, nel mio caso, ogni orchestra – ha un linguaggio che io devo decodificare fin dai primi momenti di prova. E, qui si entra nel discorso sociologico, filosofico ed empatico. Per me è divenuto un gioco e un’eccitante scoperta continua, ma, a volte, il processo può essere anche arduo e criptico.

Hai mai riscontrato problemi nel suo settore, perché era una donna?

Non mi piace parlare di differenze di genere. Essere direttori d’orchestra ha un passato prevalentemente maschile e quindi questo crea inevitabilmente qualche pregiudizio, ma, allo stesso tempo, essere direttori d’orchestra non è diverso dalla maggior parte delle professioni del passato. Tuttavia, oggi, il mondo accoglie più facilmente figure femminili in posti dirigenziali e quindi credo di essere fortunata sotto questo punto di vista. E, credo fermamente che dinanzi alla preparazione e al talento – a meno che non ci siano altri fattori in gioco – non ci siano obiezioni.

Qual è il segreto per avere successo nella sua professione?

Credere in sé stessi e prendersi cura di sé.

Quali sono i valori più importanti per lei?

Il rispetto, la dignità e la libertà di espressione, tutto condito con gentilezza. Abbiamo bisogno di questo.

Da dove trae l’ispirazione?

Essere ispirati è il motore di tutto. La curiosità è qualcosa che mi appartiene e che coltivo ogni giorno e che mi spinge a cercare sempre. Il confronto con altri artisti e la musica stessa sono fonti di ispirazione.

Come vede svilupparsi il suo lavoro in futuro?

Per guardare avanti bisogna conoscere da dove si viene. Il passato è una chiave per me. La vecchia scuola è un punto di riferimento e, allo stesso modo, mi obbliga a osservare e conciliare le mie radici, la mia realtà con l’”idea” nel concetto platonico, ovvero con la perfezione. In un mondo ferito da discordie, io vivo e milito per la musica come elemento aggregante, come funzione emotiva di gioia e di emozione e come capacità di farci sentire vivi e felicemente umani.

Come è stato il suo esordio negli Stati Uniti?

Questa esperienza negli Usa è stata incredibile. La Napa Valley è un luogo affascinante e sublime, mi ricorda le colline toscane ed è stato bello poter conciliare la musica con delle esperienze gastronomiche di eccellente qualità. È uno dei desideri che “covo” con mio fratello, direttore del consorzio della pasta ed eccellenze di prodotti italiani da esportare nel mondo. Lavorare con il mezzosoprano Joyce Di Donato e con la violinista Tessa Lark, al concerto di apertura del Festival Napa Valley, è stato facile e naturale e definisce la qualità dei più grandi artisti che sono umili e aperti al dialogo. È stato un onore, inoltre, dirigere la musica di Ennio Morricone. Le sue composizioni sono un ponte generazionale e le sue melodie sono indimenticabili. E, anche la mia Tosca all’Opera di Cincinnati ha avuto un successo incredibile. Il pubblico era entusiasta e a ogni aria o duetto applaudiva gli artisti e l’orchestra con ovazioni.

Ha notato grandi differenze a lavorare negli Stati Uniti rispetto all’Europa ?

Il panorama musicale è chiaramente differente, ma viviamo in una tale globalizzazione che risulta difficile poter essere specifici. In generale, quello che amo in Francia è la capacita di lasciarsi andare e farsi guidare nello slancio musicale dal Maestro. Oppure, riguardo la mia esperienza a Londra, alla English National Opera, prediligo la qualità dei singoli musicisti e la capacità di realizzare programmi estremamente difficili in poco tempo, come in Usa la qualità del suono e la solidità orchestrale.

C’è una performance che ritiene davvero importante per la sua carriera?

“Carmen” è stata un’opera importante per me. Dopo averla diretta al debutto alla Chorégies d’Orange – tempio sacro della musica – mi ha aperto molte nuove possibilità. È un’opera che adoro: tutto è passione, dramma e azione. Credo che la produzione a Londra sarà fantastica e poi seguirà Melbourne in novembre. In entrambi i teatri ho ottimi cantanti. Per chi si trova nei dintorni, consiglio di partecipare a queste fantastiche performance.

Quali sono i suoi prossimi progetti o sogni?

Spero presto di avere una mia orchestra con cui creare un “nostro” suono, un percorso, crescere insieme, viaggiare insieme e proporre una grande diversità di repertorio per poter avvicinare varie tipologie di pubblico.

L’articolo Clelia Cafiero, la direttrice d’orchestra italiana che ha conquistato anche gli Stati Uniti è tratto da Forbes Italia.