Contenuto tratto dal numero di settembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
“Govinda, Govinda”, scandiscono i fedeli che pregano nel tempio. Arrivano ogni giorno a centinaia. Govinda è il dio indù protettore delle vacche, ma in questo caso intercede per i migranti, fungendo da tramite in contatto speciale con l’ambasciata americana. “Sono venuto qui, e il dio mi ha ascoltato”, dice Ajay Kumar, un ragazzo di una ventina d’anni con gli occhiali e lo sguardo vispo. “Parto domani. Chicago”.
Sulle rive dell’Osman Sagar, nel bel mezzo dell’India, sorge Chilkur Balaji, noto a tutti come il ‘tempio dei visti’. Dal 1984 il rituale propiziatorio è grossomodo lo stesso: 11 giri attorno al santuario, carezzando la figura del dio. I cugini e gli zii di Satwika Kondadasula, una studentessa di 18 anni, sono già passati da qui, chiedendo la benevolenza di Govinda. Ha funzionato: vivono negli Stati Uniti. Ha funzionato anche per Satwika, che è tornata per ringraziare, tutta contenta, con il passaporto in tasca. Se la procedura va a buon fine, la gratitudine al dio è obbligatoria tanto quanto il visto. Satwika si mette in fila insieme agli altri supplicanti: questa volta deve fare 108 giri completi del tempio.
Ogni anno migliaia di indiani si rivolgono agli dèi per ottenere il permesso di partire: per studiare, per lavorare, per ricongiungersi con la famiglia. Nel tempio Shaheed Baba Nihal Singh Gurudwara, nel Punjab, vicino al confine con il Pakistan, la tradizione vuole che l’aspirante migrante depositi un modellino di aereo per ingraziarsi la divinità.
Zubin Karkaria, il sacerdote dei visti
A cogliere prima di tutti il potenziale dietro questa devozione per i visti è stato Zubin Karkaria. Indiano, con un passato nel settore turistico e un occhio per le soluzioni logistiche, negli anni Duemila ha notato le code interminabili di connazionali davanti ai consolati americani. L’idea è semplice: creare un’infrastruttura per gestire il flusso documentale, lasciando alle ambasciate solo il compito di decidere. Un’intuizione che viaggia in parallelo all’ascesa economica dei paesi non occidentali, i cui redditi sono cresciuti rapidamente negli ultimi decenni.
Ed è una storia che serve anche a smentire un falso mito: che sia la povertà assoluta a spingere a migrare. Chi parte non lo fa perché a casa non ha nulla, ma perché cerca qualcosa di più e di meglio. E poi c’è una classe media che si sposta per affari, studio, o semplicemente per il piacere del viaggio – e ha comunque bisogno di un visto. Le ambasciate avrebbero difficoltà a fronteggiare da sole questa pressione, lieviterebbero i costi per mezzi e personale.
Cosa fa Vfs Global
Ed è così che è entrata in scena Vfs Global, la società fondata e tuttora amministrata da Karkaria (una quota di maggioranza è stata poi acquisita dal fondo americano Blackstone). Il primo contratto, nel 2001, è stato proprio con gli Stati Uniti. Oggi l’azienda ha sede a Dubai, è attiva in 158 paesi e ha elaborato più di 300 milioni di domande, collaborando con 69 governi, 25 dell’area Schengen. Il cuore del modello è l’esternalizzazione: Vfs Global raccoglie i moduli, verifica i documenti, acquisisce i dati biometrici, impacchetta tutto e lo consegna all’ambasciata – ed è l’autorità diplomatica, solo lei, a decidere se approvare o meno il visto.
La formula ha successo perché crea valore per entrambe le parti: i governi non sostengono costi diretti (i servizi sono finanziati tramite tariffe a carico degli utenti), mentre i richiedenti dovrebbero minimizzare code, appuntamenti infiniti, disorganizzazione.
L’approccio sembra molto tecnologico: chatbot, sistemi di IA per organizzare documenti, data cleansing, certificazioni Iso. Vfs afferma di gestire centinaia di siti web e di aver attivato 240 chatbot basati su intelligenza artificiale, usati ogni giorno anche da diecimila persone.
Nei centri di Dubai e Abu Dhabi, che abbiamo visitato, l’organizzazione ricorda quella di un aeroporto o di una banca: flussi separati, schermi che chiamano per numero, e per chi paga di più ci sono servizi esclusivi — l’autista che ti viene a prendere a casa, la saletta lounge e lo champagne nel menù di benvenuto. Viene il dubbio che gli utenti, in alcuni casi, possano pensare che pacchetti di fascia più alta accelerino e facilitino il visto. Vfs Global ribadisce, ad ogni occasione, che gli upgrade non influiscono sul rilascio dei documenti.
Il business con l’Italia
L’Italia ha cominciato a servirsi di Vfs Global nel 2004, con un primo ufficio a Nuova Delhi. Oggi ci sono 109 centri dedicati ai visti italiani nel mondo. I paesi che fanno più richieste? Cina, India, Russia, Turchia, Filippine, Stati Uniti, dove il mix tra turismo, studio, lavoro e ricongiungimento ha spinto la domanda ai massimi storici. Diversi uffici, ad esempio in Cina, vanno oltre i documenti: le sale d’attesa ospitano mostre dedicate al made in Italy, fotografie, design, degustazioni di prodotti. È un primo assaggio del nostro Paese, che forse invoglia anche a partire. In Europa gli unici che ancora non usano Vfs Global sono Spagna, Romania e Slovacchia. L’azienda, invece, collabora con tutti i governi del gruppo Five Eyes (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda), con gran parte di G20, Asean (Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico) e Commonwealth.
Rischio di monopolio? Secondo un report della società di ricerca Dataintelo, il mercato globale dei servizi di esternalizzazione per i visti valeva circa 2,5 miliardi di dollari nel 2023 e potrebbe arrivare a 5,8 miliardi entro il 2032. In effetti Vfs Global è l’operatore più grande nel settore; ci sono diversi concorrenti, tra cui TLScontact o Bls International, ma hanno una presenza più limitata.
Vfs ottiene contratti in esclusiva da alcuni paesi (non dall’Italia), il che la rende di fatto l’unico punto d’accesso per i richiedenti, eccetto le stesse ambasciate che restano disponibili a processare le domande (va ricordato che circa il 60% dei visti mondiali viene ancora gestito direttamente dai governi). Questa posizione dominante ha attirato, in passato, l’attenzione di alcune autorità regolatrici, ma la società continua a operare nel rispetto delle norme locali e in un contesto comunque competitivo. Lo scorso aprile, ad esempio, TLScontact ha vinto un contratto per la gestione dei visti francesi negli Stati Uniti.
Società come Vfs Global non decidono chi entra o chi esce, ma organizzano quello che succede prima del timbro sul passaporto. Il sistema piace ai governi. Opera però in un terreno delicato: i diritti e la mobilità globale. Ogni mano che semplifica il viaggio è vista come una benedizione; magari proprio come quella di Govinda.
L’articolo Chi è Zubin Karkaria, il “sacerdote dei visti” che gestisce miliardi di viaggi globali è tratto da Forbes Italia.