4 Aprile 2025

Avant Arte racconta una generazione che vuole cambiare il volto dell’arte contemporanea

C’è una nuova generazione di collezionisti di arte che in modo abbastanza omogeneo nei diversi continenti sta consolidandosi. Più che nei vernissage più patinati e nei circoli la passione che li anima parte dagli schermi degli smartphone, nei feed dei social per poi passare prima di approdare presso gallerie d’arte e musei. Ad analizzare come questa nuova generazione sta riscrivendo il concetto stesso di collezionista è Avant Arte, marketplace internazionale che da anni democratizza l’accesso all’arte contemporanea, nel suo Collector Report 2025.
Un’indagine approfondita — frutto di oltre 3.100 risposte, raccolte attraverso una community globale di 3,5 milioni di utenti. Ciò che ne emerge è uno spaccato sorprendente e, per certi versi, rivoluzionario. Perché se i musei stanno lottando per la sopravvivenza, tra tagli pubblici e calo dei grandi donatori, una nuova generazione di mecenati è pronta a garantire il proprio sostegno a artisti e istituzioni.

Avant Arte: il ritratto del nuovo collezionista

Addio cliché. Il nuovo collezionista non ha l’aspetto del mecenate in tweed e pipa. Ha meno di 40 anni (nella metà dei casi), proviene da ogni parte del mondo, guadagna bene (oltre il 40% ha un reddito annuale superiore ai 100mila dollari) ed è mosso da una passione autentica. Solo il 7% cita il prestigio sociale come motivazione per l’acquisto di opere: la maggioranza cerca invece bellezza e connessione emotiva. Molti di loro sono collezionisti “recenti”: uno su due ha iniziato negli ultimi cinque anni, uno su quattro negli ultimi due. Eppure non esitano a spendere: due terzi investono più di 5.000 euro l’anno in arte, con picchi di spesa oltre i 10.000 euro soprattutto in Asia orientale, e in particolare in Corea del Sud.
Amanti del digitale, ma non solo: frequentano mostre, visitano musei con regolarità (81% almeno una volta ogni tre mesi) e sono particolarmente sensibili al valore sociale e culturale delle istituzioni artistiche. Il 92% crede che i musei debbano essere accessibili a tutti; l’86% li considera vitali per la società; il 75% li vede anche come spazi di cambiamento, capaci di mettere in discussione le convenzioni.

Il problema: un dialogo interrotto

Eppure, qualcosa non funziona. C’è un gap profondo tra il potenziale di questa nuova generazione e la capacità delle istituzioni di coinvolgerla davvero. Il 70% degli intervistati indica nella scarsa comunicazione online il principale ostacolo alla visita di un museo. I contenuti pubblicati non sono abbastanza coinvolgenti: troppo istituzionali, poco creativi, raramente orientati al dialogo. Il desiderio, invece, è forte: gli utenti chiedono dietro le quinte, contenuti esclusivi, video, reel, interviste agli artisti. “Instagram è la mia finestra sul mondo dell’arte”, dice un collezionista statunitense. Ma le istituzioni sembrano ancora legate a un modello comunicativo pre-digitale.

Membership e museum shop: due occasioni da ripensare

Anche i canali “classici” di sostegno utilizzati dai musei sono da reinventare secondo questa nuova generazione di collezionisti. Il 42% dei nuovi membri di musei non percepisce come sufficiente il valore ricevuto dal proprio abbonamento. Più che sconti o riviste, chiedono esperienze: eventi in presenza, accessi anticipati, incontri con artisti. Insomma, Vogliono sentirsi parte attiva della vita culturale del museo, non semplici spettatori chiedendo coinvolgimento, anche e soprattutto emotivo.
Stesso discorso per i negozi dei musei: frequentati da quasi tutti i nuovi collezionisti, ma spesso percepiti come spazi di souvenir, più che come luoghi dove fare acquisti significativi. Meno della metà considera lo shopping in museo un atto di sostegno culturale. I museum shop potrebbero invece diventare canali strategici di finanziamento museale, se ripensati con prodotti più curati e significativi degli attuali.

Donazioni: tanta volontà, poca chiarezza

Il tema più delicato è forse quello del finanziamento diretto delle istituzioni museali. Il 94% degli intervistati da Avant Arte riconosce che i musei hanno bisogno di fondi. L’83% afferma di avere sia i mezzi che la volontà di donare di più. Eppure la gran parte delle donazioni resta sotto i 100 dollari l’anno. Perché? Il problema è doppio: da un lato, i nuovi donatori ricevono moltissime richieste da parte di enti diversi (il 42% viene sollecitato almeno una volta al mese); dall’altro, spesso non capiscono come i loro soldi verranno impiegati. “Mi sento come se buttassi soldi in un buco nero”, afferma una collezionista norvegese.
Quello che funziona meglio sono i modelli ibridi, che offrono un valore tangibile in cambio del sostegno: edizioni artistiche, contenuti esclusivi, trasparenza sull’impatto delle donazioni. La formula preferita? Le fundraising editions: opere realizzate da artisti in sostegno diretto a istituzioni. Come la recente collaborazione tra George Condo e Avant Arte per la Dia Foundation, che ha raccolto 2,5 milioni di dollari in poche settimane.

Una nuova visione del mecenatismo

La grande intuizione del Collector Report 2025 è che collezionare arte — per questa nuova generazione — è già un atto filantropico. Il gesto di acquistare un’opera, sostenere un artista emergente, partecipare a una raccolta fondi, non è solo consumo culturale: è impegno sociale. Se i musei sapranno ascoltare questi segnali, se riusciranno a offrire strumenti chiari, contenuti coinvolgenti, esperienze vere, allora questa nuova generazione — nata online, ma profondamente legata al valore dell’arte nel mondo reale — potrà diventare davvero la più grande generazione di mecenati della storia. E questo, in tempi di crisi e incertezza, non è solo un auspicio. È una concreta possibilità di rinascita.

L’articolo Avant Arte racconta una generazione che vuole cambiare il volto dell’arte contemporanea è tratto da Forbes Italia.