C’è una nuova generazione di collezionisti di arte che in modo abbastanza omogeneo nei diversi continenti sta consolidandosi. Più che nei vernissage più patinati e nei circoli la passione che li anima parte dagli schermi degli smartphone, nei feed dei social per poi passare prima di approdare presso gallerie d’arte e musei. Ad analizzare come questa nuova generazione sta riscrivendo il concetto stesso di collezionista è Avant Arte, marketplace internazionale che da anni democratizza l’accesso all’arte contemporanea, nel suo Collector Report 2025.
Un’indagine approfondita — frutto di oltre 3.100 risposte, raccolte attraverso una community globale di 3,5 milioni di utenti. Ciò che ne emerge è uno spaccato sorprendente e, per certi versi, rivoluzionario. Perché se i musei stanno lottando per la sopravvivenza, tra tagli pubblici e calo dei grandi donatori, una nuova generazione di mecenati è pronta a garantire il proprio sostegno a artisti e istituzioni.
Avant Arte: il ritratto del nuovo collezionista
Addio cliché. Il nuovo collezionista non ha l’aspetto del mecenate in tweed e pipa. Ha meno di 40 anni (nella metà dei casi), proviene da ogni parte del mondo, guadagna bene (oltre il 40% ha un reddito annuale superiore ai 100mila dollari) ed è mosso da una passione autentica. Solo il 7% cita il prestigio sociale come motivazione per l’acquisto di opere: la maggioranza cerca invece bellezza e connessione emotiva. Molti di loro sono collezionisti “recenti”: uno su due ha iniziato negli ultimi cinque anni, uno su quattro negli ultimi due. Eppure non esitano a spendere: due terzi investono più di 5.000 euro l’anno in arte, con picchi di spesa oltre i 10.000 euro soprattutto in Asia orientale, e in particolare in Corea del Sud.
Amanti del digitale, ma non solo: frequentano mostre, visitano musei con regolarità (81% almeno una volta ogni tre mesi) e sono particolarmente sensibili al valore sociale e culturale delle istituzioni artistiche. Il 92% crede che i musei debbano essere accessibili a tutti; l’86% li considera vitali per la società; il 75% li vede anche come spazi di cambiamento, capaci di mettere in discussione le convenzioni.
Il problema: un dialogo interrotto
Eppure, qualcosa non funziona. C’è un gap profondo tra il potenziale di questa nuova generazione e la capacità delle istituzioni di coinvolgerla davvero. Il 70% degli intervistati indica nella scarsa comunicazione online il principale ostacolo alla visita di un museo. I contenuti pubblicati non sono abbastanza coinvolgenti: troppo istituzionali, poco creativi, raramente orientati al dialogo. Il desiderio, invece, è forte: gli utenti chiedono dietro le quinte, contenuti esclusivi, video, reel, interviste agli artisti. “Instagram è la mia finestra sul mondo dell’arte”, dice un collezionista statunitense. Ma le istituzioni sembrano ancora legate a un modello comunicativo pre-digitale.
Membership e museum shop: due occasioni da ripensare
Anche i canali “classici” di sostegno utilizzati dai musei sono da reinventare secondo questa nuova generazione di collezionisti. Il 42% dei nuovi membri di musei non percepisce come sufficiente il valore ricevuto dal proprio abbonamento. Più che sconti o riviste, chiedono esperienze: eventi in presenza, accessi anticipati, incontri con artisti. Insomma, Vogliono sentirsi parte attiva della vita culturale del museo, non semplici spettatori chiedendo coinvolgimento, anche e soprattutto emotivo.
Stesso discorso per i negozi dei musei: frequentati da quasi tutti i nuovi collezionisti, ma spesso percepiti come spazi di souvenir, più che come luoghi dove fare acquisti significativi. Meno della metà considera lo shopping in museo un atto di sostegno culturale. I museum shop potrebbero invece diventare canali strategici di finanziamento museale, se ripensati con prodotti più curati e significativi degli attuali.
Donazioni: tanta volontà, poca chiarezza
Il tema più delicato è forse quello del finanziamento diretto delle istituzioni museali. Il 94% degli intervistati da Avant Arte riconosce che i musei hanno bisogno di fondi. L’83% afferma di avere sia i mezzi che la volontà di donare di più. Eppure la gran parte delle donazioni resta sotto i 100 dollari l’anno. Perché? Il problema è doppio: da un lato, i nuovi donatori ricevono moltissime richieste da parte di enti diversi (il 42% viene sollecitato almeno una volta al mese); dall’altro, spesso non capiscono come i loro soldi verranno impiegati. “Mi sento come se buttassi soldi in un buco nero”, afferma una collezionista norvegese.
Quello che funziona meglio sono i modelli ibridi, che offrono un valore tangibile in cambio del sostegno: edizioni artistiche, contenuti esclusivi, trasparenza sull’impatto delle donazioni. La formula preferita? Le fundraising editions: opere realizzate da artisti in sostegno diretto a istituzioni. Come la recente collaborazione tra George Condo e Avant Arte per la Dia Foundation, che ha raccolto 2,5 milioni di dollari in poche settimane.
Una nuova visione del mecenatismo
La grande intuizione del Collector Report 2025 è che collezionare arte — per questa nuova generazione — è già un atto filantropico. Il gesto di acquistare un’opera, sostenere un artista emergente, partecipare a una raccolta fondi, non è solo consumo culturale: è impegno sociale. Se i musei sapranno ascoltare questi segnali, se riusciranno a offrire strumenti chiari, contenuti coinvolgenti, esperienze vere, allora questa nuova generazione — nata online, ma profondamente legata al valore dell’arte nel mondo reale — potrà diventare davvero la più grande generazione di mecenati della storia. E questo, in tempi di crisi e incertezza, non è solo un auspicio. È una concreta possibilità di rinascita.
L’articolo Avant Arte racconta una generazione che vuole cambiare il volto dell’arte contemporanea è tratto da Forbes Italia.