10 Luglio 2025

Architetti, poeti, IA e cittadini: la nuova urbanistica corale di Carlo Ratti per costruire città consapevoli, inclusive e reattive

Ecologisti, storici, linguisti, esperti di etica, ostetriche e poeti, botanici, attivisti del paesaggio. La multidisciplinarietà aggiunta all’intelligenza collettiva con l’architetto direttore d’orchestra e con l’IA che abilità e gestisce ambienti complessi. Ecco la ricetta per le città made in AI di Carlo Ratti, direttore del Senseable City Lab del Mit di Boston e della Biennale Architettura 225 di Venezia.

Dato il tuo lavoro in corso con il rilevamento urbano e gli ambienti reattivi al Mit Senseable City Lab, come pensi che l’IA amplifichi il ruolo delle tecnologie emergenti nella risposta al cambiamento climatico, in particolare su scala urbana, dove comportamento umano e infrastrutture si intersecano? E dove ne vedi i limiti?

Esploriamo questa domanda da anni al Mit Senseable City Lab e presso il nostro studio di design e innovazione, Cra-Carlo Ratti Associati: in che modo le tecnologie emergenti possono aiutare le città a rispondere in modo più intelligente, non solo al cambiamento climatico, ma anche alle più ampie pressioni della vita urbana? L’IA può essere un potente amplificatore, soprattutto quando si tratta di interpretare ambienti complessi. Con i dati giusti, possiamo mappare i microclimi, monitorare i modelli di mobilità e rilevare l’effetto isola di calore isolato per isolato. Questo ci consente di intervenire con maggiore precisione: posizionando le infrastrutture verdi dove si raffreddano di più, regolando i flussi di energia in tempo reale o anticipando i rischi di alluvione prima che si materializzino.

Così facendo, stiamo ampliando il lavoro di una lunga stirpe di osservatori urbani: Ildefons Cerdà, il padre della Barcellona moderna, che cercò di applicare metodi scientifici alla pianificazione urbana nel XIX secolo; Jane Jacobs, che sostenne la complessità e l’auto-organizzazione dei quartieri; o William H. Whyte, che filmò gli spazi pubblici per rivelare i ritmi sottili della vita pedonale. L’IA ci permette di rivisitare le loro intuizioni su larga scala, collegando infrastrutture e comportamento umano con nuova chiarezza. Ma, naturalmente, non è una panacea. L’IA può aiutarci a vedere di più, ma non può dirci che tipo di città vogliamo. È qui che devono entrare in gioco il design e le persone. Il ruolo più prezioso dell’IA potrebbe non essere l’ottimizzazione, ma l’attenzione: aiutarci a porre domande migliori, non solo a trovare risposte più rapide.

Hai descritto le città come organismi viventi. Dove pensi che l’IA subirà la trasformazione più inaspettata, non solo nel modo in cui le città funzionano, ma anche nel modo in cui percepiscono, si comportano o persino pensano, nel prossimo decennio?

Se le città sono organismi, allora l’IA sta rapidamente diventando parte del loro sistema nervoso centrale. Ciò che mi entusiasma di più non è l’efficienza che l’IA potrebbe portare, sebbene sia importante, ma i modi sottili e quasi invisibili in cui potrebbe cambiare il comportamento e l’evoluzione delle città. Ad esempio, usare l’IA per scoprire modelli di segregazione, come abbiamo esplorato con il progetto Liminal Ghettos, può aiutarci a vedere ciò che l’occhio umano non vede: come si muovono le persone, dove le connessioni si logorano, dove nuovi tipi di ‘ghetto’ emergono non dai muri, ma dai flussi di dati. In questi casi, l’IA rivela il subconscio urbano. Può rendere le città autoconsapevoli, in un certo senso. La domanda, quindi, è come progettare con questa consapevolezza: non automatizzando le decisioni, ma aumentando la nostra capacità collettiva di chiederne di migliori. La tecnologia dovrebbe espandere l’immaginazione civica, non ridurla all’ottimizzazione.

Hai spesso sottolineato l’importanza di mantenere le città ‘umane prima che intelligenti’. Man mano che l’IA si integra nell’ambiente costruito sostenibile, come possiamo mantenere gli spazi urbani luoghi di espressione culturale, non solo di ottimizzazione?

Le città intelligenti non dovrebbero essere ottimizzate a scapito della vivibilità. La domanda che ci poniamo sempre, al Mit Senseable City Lab e al Cra, non è solo cosa può fare la tecnologia, ma dove e con chi. Le città sono fatte di prossimità: non solo in senso spaziale, ma anche in termini di interazione culturale e sociale. Per questo abbiamo lanciato Proximate, un’iniziativa di ricerca che esplora come la vicinanza fisica influenzi la collaborazione e l’innovazione. I dati confermano ciò che sappiamo intuitivamente: essere vicini gli uni agli altri è ancora importante. Serendipità, incontri casuali, rituali condivisi, sono più difficili da quantificare, ma centrali nella formazione di culture e comunità.

Al Cra, abbiamo cercato di riflettere questo concetto nella ristrutturazione di Palazzo Mondadori a Milano. È un punto di riferimento dell’architettura modernista di Oscar Niemeyer, ma necessitava di un nuovo tipo di intelligenza, che incoraggiasse il movimento, il dialogo e lo scambio informale. Abbiamo riconfigurato gli interni per dissolvere i layout rigidi: sale riunioni trasparenti, scrivanie modulari e persino mobili immersi nel verde. La nostra ricerca e le tecnologie di rilevamento basate sull’intelligenza artificiale hanno contribuito a plasmare lo spazio, ma solo per supportare ciò che conta di più: la presenza umana. L’obiettivo è creare luoghi in cui le persone desiderano vivere. È lì che prospera l’espressione culturale: nei modelli di incontro, nell’imprevedibilità della vita reale. L’intelligenza artificiale può aiutarci a individuare questi modelli. Ma il design è ciò che permette loro di manifestarsi.

Man mano che le città diventano più reattive al nostro modo di muoverci, di percepire le nostre sensazioni e di comportarci, come possiamo progettare ambienti che vadano oltre la raccolta di dati per supportare attivamente il benessere emotivo e la salute cognitiva, senza compromettere la privacy o la diversità culturale?

La risposta sta nel ciclo di feedback. Una città che raccoglie dati è solo un sensore; una città che impara da essi e risponde, empaticamente e localmente, è tutt’altra cosa. In Favelas 3D, un progetto a Rocinha del Mit Senseable City Lab, abbiamo utilizzato LiDar e fotogrammetria per rivelare la ricchezza della logica urbana informale. Se vogliamo ambienti che promuovano il benessere emotivo e cognitivo, dobbiamo passare dalla sorveglianza alla gestione. Ciò significa rispettare l’anonimato amplificando al contempo l’azione.

Il tema della Biennale di Architettura di Venezia 2025 è ‘Intelligenza. Naturale. Artificiale. Collettiva’. In pratica, quali di questi ritiene siano ancora meno sfruttati da architetti e urbanisti nell’affrontare la sostenibilità? In che modo l’intelligenza artificiale potrebbe contribuire a colmare il divario?

L’intelligenza collettiva, di gran lunga. Per troppo tempo, l’architettura è stata inquadrata come una performance solitaria: l’architetto visionario come autore. Ma la sostenibilità richiede un modello diverso. Come sosteniamo alla Biennale di quest’anno, l’adattamento è ora urgente quanto la mitigazione. E l’adattamento richiede una pluralità di autori. Ecco perché abbiamo lanciato il bando ‘Space for Ideas’, che ha raccolto proposte da premi Nobel a neolaureati provenienti da sei continenti. L’intelligenza artificiale ci ha aiutato a navigare in quell’oceano di input. Ma, cosa ancora più importante, ci ha aiutato ad ascoltare meglio. Intelligens termina in ‘gens’, ovvero persone. È un invito a riconsiderare chi può immaginare il futuro.

Il tuo lavoro unisce in modo unico architettura, urbanistica, ingegneria e intelligenza artificiale. Se vogliamo costruire città più umane e reattive, quali altre discipline ritieni debbano essere integrate in questo approccio interdisciplinare? E quale consiglio daresti ai giovani designer che desiderano adottare un approccio simile, incentrato sull’uomo, utilizzando l’intelligenza artificiale?

Dobbiamo costruire città con più che semplici costruttori. Ecologisti, storici, linguisti, esperti di etica, ostetriche e poeti. Il concetto di intelligenza – ‘intelligens’ – non dovrebbe essere limitato a quello digitale. In progetti come Diversitree, nato nel laboratorio in cui analizziamo la biodiversità delle foreste urbane, abbiamo scoperto quanto gli alberi lungo le strade influenzino la salute urbana e la coesione sociale. Ma non lo avremmo capito senza il coinvolgimento di botanici, attivisti comunitari e storici del paesaggio. Ai giovani designer: siate promiscui con le discipline, ma rigorosi con l’etica. Non trattate l’IA come una soluzione; consideratela un modo per porre domande più efficaci. E soprattutto: collaborate. L’intelligenza collettiva potrebbe essere la nostra tecnologia più potente.

Sulla base del vostro insegnamento al Mit e della vostra ricerca con il Senseable City Lab, quali sono i malintesi più diffusi sul ruolo dell’IA nell’architettura e nell’urbanistica oggi? Come incoraggiate gli studenti e i vostri team di progettazione a trovare un sano equilibrio tra creatività e ottimizzazione basata sull’IA?

Un malinteso comune è che l’IA sostituirà l’intuizione o la creatività dell’architetto, che possa generare soluzioni in modo indipendente. Ma al Mit e attraverso la nostra ricerca al Senseable City Lab, la vediamo diversamente: l’IA è uno strumento che ci aiuta a porre domande migliori, non un sostituto del pensiero critico o del giudizio progettuale. In Open Source Architecture, un libro che ho scritto qualche anno fa, abbiamo sostenuto che l’architettura si sta evolvendo da un atto solitario a un processo collaborativo, una sorta di progettazione corale. L’architetto diventa meno un autore solitario e più un direttore d’orchestra, integrando intuizioni provenienti da diverse fonti: cittadini, scienziati, sensori e, sempre più, sistemi di IA. Usata bene, l’IA può ampliare il nostro campo visivo. Può aiutarci a individuare schemi che potremmo non cogliere, a testare idee su larga scala o a rivelare relazioni inaspettate tra persone e luoghi. Ma non sostituisce il bisogno di narrazione, etica o intuizione culturale. Questi appartengono ancora a noi.

L’articolo Architetti, poeti, IA e cittadini: la nuova urbanistica corale di Carlo Ratti per costruire città consapevoli, inclusive e reattive è tratto da Forbes Italia.