La cosa che più colpisce quando parla è la lucidità di chi a 24 anni ha ben chiaro da dove è partito e dove vuole arrivare, lui è Andrea De Filippi, in arte Alfa, cantautore genovese che nonostante la giovane età continua a riempire i palazzetti di tutta Italia. Un percorso non convenzionale il suo, nato da un singolo lanciato sui social, ora a distanza di pochi anni, Andrea ha collezionato ben 19 dischi di platino e a settembre partirà con un tour in giro per le capitali europee.
Piace perché autentico “Forse perché cerco sempre di annullare la distanza con il mio pubblico” ci racconta.
Il suo percorso parte da un sogno che hanno tanti giovani hanno: fare il cantante. Cos’è che nel suo caso ha funzionato?
“Credo l’ossessione. La voglia di sbatterci la testa, di collezionare una quantità di sconfitte e prese in giro non indifferente, che però non mi hanno mai scalfito l’autostima. Mi piaceva talmente tanto scrivere canzoni che sarei andato avanti anche se non fosse mai diventato un lavoro”.
Quanto i social sono stati importanti per far conoscere la sua musica?
“All’inizio tantissimo, oggi molto meno, sto cercando di costruire una carriera che prescinda dai social, un percorso di maturazione artistica. Ma a 17 anni erano l’unico mezzo per farmi conoscere. Credo che siano tuttora utilissimi per gli artisti emergenti. Anzi, in certi casi sono persino più forti di un talent in partenza, perché annullano la distanza tra artista e pubblico. Consiglio sempre a chi comincia di usarli”.
Possiamo dire che TikTok è stato il suo talent?
“Sì, è stato il mio modo per farmi conoscere tra i miei coetanei, tra chi stava già sulla piattaforma. Poi, se vuoi arrivare a fare concerti nei palazzetti o il Festival di Sanremo, serve un’altra struttura. Servono persone attorno, un’organizzazione, un lavoro diverso”.
In un’intervista ha dichiarato: “Il segreto del mio successo è l’autenticità”, cosa la rende autentico agli occhi di chi la segue?
“Forse il fatto che cerco sempre di annullare la distanza con il mio pubblico. Secondo me ci sono due tipi di successo: quello empatico e quello aspirazionale. Il successo aspirazionale cerca di metterti sopra agli altri, di essere un modello estetico. Il successo empatico invece è più sincero, ti mostra anche nei momenti in cui non sei perfetto, quando non sei curatissimo o super attento all’immagine. Mettere al centro la musica, le canzoni: questo è stato un po’ il mio messaggio, ma anche quello di tanti artisti oggi”.
Mettendo da parte la musica, chi è Andrea?
“Un ragazzo di 24 anni che viene da Genova, vive a Milano, e ha tante passioni oltre la musica. Ad esempio mi piacciono moltissimo i film d’animazione. Un giorno mi piacerebbe lavorare per la Disney o per la Pixar. In realtà sono molto normale, conduco una vita molto normale. È chiaro che fare musica rende tutto un po’ più strano, ma per me la normalità è davvero un bel complimento, se qualcuno me lo dice”.
Com’è arrivato il successo? So che c’è un aneddoto particolare…
“Avevo 17 anni, ero fidanzato con la mia prima ragazza, il mio primo amore. Lei mi lasciò e io ci rimasi malissimo (uso il passato remoto anche se sono passati solo sette anni). Quel giorno andai da un mio amico, gli raccontai tutto, e nel bel mezzo del dolore, mentre per consolarmi aspettavamo una pizza in ritardo, scrivemmo “Cin Cin”, la canzone che mi ha cambiato la vita. La caricai online su un sito che si chiama DistroKid, che ti permette di distribuire musica per 10 euro all’anno su tutte le piattaforme. Non avevo un manager, né un’etichetta. Facevo ancora il liceo. E quella canzone, tramite il passaparola e il web, mi ha lanciato nel giro di un’estate”.
Il successo la spaventa?
“Tantissimo, ancora oggi. Mi spaventava a 17 anni perché l’ho conosciuto in un momento in cui non ero strutturato. E ne ho pagato le conseguenze. Oggi sto facendo un percorso con una psicologa, cerco di prendermi cura della mia salute mentale. Il successo ti cambia gli equilibri. Non deve colmare le tue mancanze o insicurezze, perché è qualcosa di gassoso, impalpabile. Lo percepisci, ma non è concreto. Deve restare separato da te, non diventare parte di te”.
La sua famiglia aveva immaginato per lei una strada diversa. Non ha mai pensato che la musica potesse convivere con qualcos’altro?
“È un tema caldo in famiglia. Oggi i miei genitori sono molto contenti del mio percorso artistico. Ma quando ho lasciato gli studi per la musica stavo facendo la Bocconi, un percorso completamente diverso. Mia madre voleva che diventassi medico, ma ho paura del sangue: non credo sarei diventato un ottimo medico (ride). Non penso comunque che scriverò canzoni per sempre, oggi per me è un’onda, ma non mi chiedo quanto durerà. Magari tra dieci anni farò un film d’animazione, come dicevo prima. Non voglio precludermi nulla”.
Alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco. Perché ha scelto questo nome?
“Ci sono due risposte: una per i giornalisti e una vera. La vera è che facevo la terza liceo e mi sembrava strano che nessuno si chiamasse Alfa: era un nome troppo semplice. Ho pensato: vabbè, allora lo uso io”.
Parte, anzi è già partito, il suo tour in Italia ma non solo…
“Sì, a settembre andremo in giro per l’Europa per la prima volta. Abbiamo preso un van per me e per la band, sarà un viaggio un po’ on the road, un po’ punk. Giriamo sei capitali europee in dieci giorni. Per me sarà una vacanza, anche se un po’ impegnativa. Ho già suonato a Londra e ricordo quella notte come una delle più belle della mia vita. L’atmosfera dei club, il fatto di suonare all’estero… è incredibile”.
Qualche giorno fa a Roma ha vissuto anche un incontro molto speciale…
“Sì, molto importante. Ho conosciuto Ed Sheeran, che è il motivo per cui faccio questo mestiere. Quando l’ho visto per la prima volta nel 2010 con “The A Team”, che era uno dei suoi primi singoli, ho preso in mano la chitarra perché lo sentivo vicino a me e ho iniziato. E qualche giorno fa, dopo 15 anni, ho cantato con lui proprio quella canzone. Mi sono anche fatto firmare la chitarra. È un cerchio bellissimo che si chiude. Ci siamo scambiati le mail, ogni tanto ci sentiamo”.
Possiamo dire che tra voi due c’è anche una certa somiglianza?
“Sì, forse nei colori. Sul talento, lo vedremo col tempo. Quando mi chiamano l’Ed Sheeran italiano, credo lo dicano per l’aspetto fisico e la chitarra in mano. Le canzoni ancora non sono paragonabili, ma ci sto lavorando (ride)”.
Cosa significa per lei, oggi, fare musica pop?
“Oggi la parola “pop” viene ancora un po’ vista male. Viene associata al commerciale, alla massa. Invece per me è il genere più bello, perché tutto può essere pop. Pop vuol dire arrivare a chiunque, a persone di ogni età. Scrivo testi semplici e canzoni semplici, ma in modo consapevole. È un lavoro difficile, di sintesi e di sottrazione, che è molto più doloroso di un lavoro d’impatto. Credo che qualcosa stia cambiando: dopo anni di dominio rap e trap, stanno tornando i cantautori, sia all’estero che in Italia. Basta guardare l’ultimo Sanremo. Ho proprio la sensazione che presto il pop smetterà di essere una ‘parolaccia’.”
Sulle sue braccia vedo decine di tatuaggi, so che sono 111, possiamo dire che raccontano la sua vita, il suo percorso?
“Sì, alcuni sono ricordi, altri completamente a caso. Magari un giorno me ne pentirò, anzi sicuramente. Ma per ora mi piacciono”.
Cos’è per lei il successo?
“Per me ha a che vedere con l’autodeterminazione. È qualcosa di molto più emotivo che numerico. Una persona di successo, per me, è una persona risolta emotivamente, che ha combattuto con i propri difetti e ci ha fatto pace”.
L’articolo Alfa: La forza di inseguire un sogno è tratto da Forbes Italia.