4 Settembre 2025

Addio a Giorgio Armani, il re della moda. Per 50 anni ha portato lo stile italiano nel mondo

In una delle ultime interviste, concessa l’anno scorso a Vanity Fair, aveva detto di “non avere mai avuto il fuoco sacro della moda. Ero un designer, ma avrei potuto essere un avvocato o un dottore. Non ero un bambino che sognava la moda disegnando vestiti per le bambole. Ma capii che con la moda avrei potuto guadagnare soldi, esprimermi e confrontarmi con ciò che mi stava intorno”. Eppure è stato, per 50 anni, uno dei più importanti stilisti del mondo. Giorgio Armani è morto oggi, giovedì 4 settembre, a Milano. Due mesi fa aveva compiuto 91 anni.

La storia di Giorgio Armani

Armani era nato l’11 luglio 1934 a Piacenza. Il padre era impiegato amministrativo del fascio locale, la madre direttrice della colonia di Misano. Molti anni più tardi, nel libro Per Amore, Armani scrisse di avere “molto assorbito”, nel suo stile sobrio ed essenziale, il rigore della madre e dell’ambiente in cui è cresciuto, in cui “si viveva con grande dignità ma con poco” e, nell’abbigliamento, “al massimo ci si concedeva un piccolo fiore all’occhiello, in momenti importanti come la prima comunione”.

Alla fine degli anni ‘40 si trasferì a Milano. Influenzato dall’eroe del romanzo La cittadella di A. J. Cronin, come ha scritto la giornalista Renata Molho nel libro Essere Armani, “a un certo punto si immaginò di diventare medico. Aveva un’idea romantica della professione e si vedeva già medico di campagna, impegnato ad aiutare i più deboli”. Si iscrisse a medicina alla Statale di Milano, ma abbandonò gli studi dopo tre anni. Servì nell’esercito, poi fu assunto alla Rinascente. Qui ricoprì vari ruoli, dal vetrinista al responsabile degli acquisti per l’abbigliamento maschile.

L’ingresso nella moda

A farlo entrare nella moda fu Nino Cerruti, a metà degli anni ’60. Cerruti guidava il Lanificio Fratelli Cerruti e nel 1957 aveva fondato Hitman, una delle prime aziende italiane a proporre abbigliamento maschile di alto livello. “Mi resi subito conto della più grande qualità [di Giorgio]: una capacità di lavoro straordinaria”, disse Cerruti alla Rai nel 2014. “In milanese c’è l’espressione ‘si siede e non si rialza mai’. Lui era così. Capii subito che aveva una grandissima sensibilità, una capacità creativa”. In un’intervista ad Aldo Cazzullo e Paola Pollo del Corriere della Sera, Armani ha ricordato il colloquio con Cerruti: “Mi fece un test, mi mostrò stoffe di vari colori, e scoprì che mi piacevano quelli che piacevano a lui, un po’ spenti. Ho sempre amato il colore del fango del Trebbia”.

La nascita dell’azienda

Negli anni ’70 Armani cominciò a lavorare anche come freelance per diverse aziende. Solo nel 1975 fondò l’azienda che porta il suo nome, assieme al compagno di vita e di lavoro Sergio Galeotti, conosciuto nel 1966. Armani ha raccontato al Corriere che fu proprio Galeotti a spingerlo a mettersi in proprio: “Mi diede coraggio, fiducia. […] Sergio aveva visto i miei vestiti, si era reso conto che potevo arrivare più lontano. Allora il mondo della moda a Milano era gestito da persone un po’ adulte. Io ero giovane, avevo stimoli diversi”.

La presentazione della prima collezione non fu un successo. “Ma ci fu una cosa che mi rese molto felice”, ha detto lo stilista a Vanity Fair. Alla fine dello spettacolo, “[Sergio] suggerì di usare le canzoni degli Inti-Illimani come colonna sonora. Disse: ‘Dato che la collezione è così così, tanto vale che prenda un rischio’. Con quella musica di sottofondo, decisi di vestire le ragazze con garze colorate e di mettere loro dei foulard in testa. Fu un finale bellissimo, che salvò la situazione”.

Galeotti affiancò Armani fino alla morte, nel 1985, a 40 anni. “Quando morì Sergio, morì una parte di me. Devo dire che mi complimento un po’ con me stesso, perché ho retto a un dolore fortissimo”, ha detto Armani al Corriere. “Ho avuto una forza di volontà incredibile, per vincere questo dolore crudele. Un anno di attesa perché Sergio morisse. E tutto accadde in un tempo meraviglioso, quando stavamo cominciando a essere qualcuno, a dare una struttura all’azienda, a essere conosciuti nel mondo”.

La fama mondiale

Nel frattempo il marchio era arrivato alla fama mondiale, anche grazie al cinema. Nell’aprile del 1978 Diane Keaton indossò un completo di Armani alla notte degli Oscar, quando vinse il premio come migliore attrice per Io e Annie. Poco dopo il regista Paul Schrader gli chiese di disegnare gli abiti per il suo American Gigolo. Il protagonista avrebbe dovuto essere John Travolta, reduce dal successo della Febbre del sabato sera. “Poi per fortuna Schrader cambiò protagonista, perché Travolta non era assolutamente il personaggio che poteva mettere con eleganza i miei vestiti”, ha detto Armani. La parte andò a Richard Gere. Il film, uscito nel 1980, contribuì a far conoscere il marchio in tutto il mondo. Secondo una leggenda, Gere può ancora prendere gratis tutto quello che vuole da tutti i negozi Armani del mondo.

Fu l’inizio di un lungo sodalizio con il cinema. Armani firmò costumi per film come Gli intoccabili, Quei bravi ragazzi, Il cavaliere oscuro, Bastardi senza gloria e The Wolf of Wall Street. Nel 1999 fu anche produttore del documentario Il mio viaggio in Italia di Martin Scorsese.

Più che ad American Gigolo, Armani ha attribuito il punto di svolta della sua carriera nella copertina che la rivista Time gli dedicò nel 1982: “Quella copertina mi stupì e mi spaventò nello stesso tempo. Mi dissi: ‘Se sei su quella copertina, la gente si aspetterà sempre il meglio da te’”.

L’impero Armani

Negli anni Armani ha allargato il suo impero molto al di là dell’abbigliamento. Nel 1980 firmò un accordo con L’Oréal per entrare nei prodotti di bellezza. Poi sono arrivati occhiali, hotel, club, accessori, prodotti per la casa, abbigliamento sportivo, per bambini, per ragazzi, da neve. Dal 2008 era proprietario dell’Olimpia Milano, la squadra di basket più titolata d’Italia. Possedeva anche poco meno del 5% di Luxottica. Secondo l’ultima classifica di Forbes, era la quarta persona più ricca d’Italia, con un patrimonio di 11,8 miliardi di dollari.

A differenza di molti altri stilisti italiani, non ha mai voluto cedere la sua azienda. Mentre Gucci passava alla francese Kering, Valentino alla qatariota Mayhoola for Investments e Versace alla statunitense Capri Holdings, Armani ha mantenuto il pieno controllo e non ha mai voluto quotare la società in Borsa. “Tutti mi dicono di ritirarmi e godermi i frutti di ciò che ho costruito, ma io dico di no… assolutamente no”, ha ribadito ancora nel 2023 al Financial Times. Lo scorso anno ha detto che la scelta era frutto anche di “un po’ di orgoglio personale”.

Da anni, però, aveva cominciato a preparare la successione. “La soluzione migliore sarebbe un gruppo di persone fidate vicine a me e scelte da me”, ha detto lo scorso anno a Bloomberg. Il riferimento è alla Fondazione Giorgio Armani, di cui fanno parte il suo braccio destro Pantaleo Dell’Orco e i nipoti Andrea Camerana e Silvana e Roberta Armani. “Il ruolo della fondazione è essenzialmente quello di garantire e custodire il mio lavoro e i valori a cui tengo di più e su cui ho fondato la mia azienda”.

Nell’intervista Armani disse che “l’indipendenza è uno dei valori fondamentali di tutto ciò che ho creato e certamente quello che ho difeso più tenacemente, fino all’ostinazione”. Aggiunse però di non voler “escludere nulla. Ciò che ha sempre caratterizzato il successo del mio lavoro è la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano”.

L’articolo Addio a Giorgio Armani, il re della moda. Per 50 anni ha portato lo stile italiano nel mondo è tratto da Forbes Italia.